Un gruppo di ricercatori del Centro di Ricerca Matilde Tettamanti e dell’Università di Stanford (California) hanno scoperto che è possibile prevedere fin dalla diagnosi se pazienti colpiti da leucemia linfoblastica acuta di tipo B (B-LLA) avranno maggiori probabilità di ricaduta dopo i trattamenti. I ricercatori hanno osservato che alcune particolari caratteristiche funzionali della cellula tumorale, associate alla ricaduta di questa malattia, sono già presenti al momento della diagnosi. Finora occorreva aspettare la risposta al trattamento e la verifica molecolare della cosiddetta “malattia residua minima”, per stabilire l’eventuale rischio di ricaduta. Lo studio sostenuto anche da AIRC con il contributo della Fondazione ‘Benedetta è la Vita’ Onlus è pubblicato oggi sulla rivista scientifica Nature Medicine.
Grazie a un’analisi ad altissima risoluzione che permette di studiare singolarmente le cellule, i ricercatori hanno potuto indentificare un preciso comportamento cellulare che sembra guidare la ricaduta. Tale osservazione, oltre a offrire nuove conoscenze sul comportamento biologico della cellula tumorale, potrebbe avere un impatto molto significativo negli attuali criteri di stratificazione del rischio e di conseguente definizione di una terapia.
“Nel nostro studio – commenta Jolanda Sarno, primo autore insieme a Zinaida Good – abbiamo utilizzato una tecnologia innovativa, la citometria di massa, in grado di individuare, quantificare e analizzare contemporaneamente decine di parametri biologici e funzionali in ogni singola cellula. Le cellule leucemiche di B-LLA alla diagnosi sono state confrontate con la loro controparte sana mediante un programma bioinformatico al fine di individuare i profili più caratteristici delle cellule leucemiche. I profili ottenuti sono poi stati confrontanti nei pazienti ricaduti rispetto a quelli in remissione (non ricaduti), ed utilizzando un approccio di “machine learning” sono state identificate le caratteristiche funzionali predittive della ricaduta”.
Sottolinea Andrea Biondi, direttore della clinica pediatrica Università Milano Bicocca e direttore scientifico della Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma: “Sin dalla fine degli anni ’90, grazie al contributo di AIRC e del Comitato Maria Letizia Verga la clinica pediatrica della Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma ha coordinato per l’Italia, all’interno di un network europeo, la standardizzazione e l’applicazione della tecnica di misurazione della malattia residua minima in tutti i bambini e adolescenti con leucemia linfoblastica acuta di tipo B dei centri dell’Associazione Italiana Ematologia e Oncologia Pediatrica (AIEOP). Questo studio si colloca quindi all’interno di una storia e di un’esperienza di ricerca decennale che pone il nostro centro come punto di riferimento in Italia”. Il centro, che riceve e analizza ogni anno circa 450 campioni di DNA, è punto di riferimento in Italia per lo studio della malattia residua minima.
Nonostante i successi nell’ottenimento di risposta iniziale al trattamento di prima linea, la mortalità nei tumori è in gran parte dovuta alla recidiva. Esiste un dibattito sul fatto se le cellule tumorali resistenti al trattamento siano presenti fin dal momento della diagnosi iniziale o se esse emergano sotto la pressione della terapia. In questo contesto, Zinaida Good, co-autrice di questo lavoro, ha messo a punto un modello statistico di predizione delle ricadute, definito come Developmentally Dependent Predictor of Relapse (DDPR), il quale ha dimostrato chiaramente che alcune caratteristiche funzionali della cellula tumorale, responsabili della ricaduta di malattia, sono già presenti alla diagnosi. In particolare, sono state individuate 6 caratteristiche cellulari, presenti in 2 sottopopolazioni leucemiche, in grado di far prevedere la ricaduta del paziente fin dal momento della diagnosi. In una successiva analisi le coppie di campioni ottenuti al momento della diagnosi e della ricaduta sono state analizzate e si è così ottenuta la conferma che il profilo predittivo iniziale, osservato alla diagnosi, si mantiene nelle cellule presenti alla ricaduta.
Alla luce degli ottimi risultati ottenuti in questo lavoro, il modello DDPR verrà ulteriormente validato in un numero più ampio di campioni prelevati da pazienti con B-LLA (circa 300) che saranno messi a disposizione dal COG (Children’s Oncology Group) americano. La prospettiva fa ben sperare che i risultati si convalidino con l’ampiamento dello studio.
Riferimenti: Single-Cell Developmental Classification of B-Cell Precursor Acute Lymphoblastic Leukemia at Diagnosis Reveals Predictors of Relapse; Zinaida Good, Jolanda Sarno, Astraea Jager, Nikolay Samusik, Nima Aghaeepour, Erin F. Simonds, Leah White, Norman J. Lacayo, Wendy J. Fantl, Grazia Fazio, Giuseppe Gaipa, Andrea Biondi, Robert Tibshirani, Sean C. Bendall, Garry P. Nolan, Kara L. Davis; Nature Medicine