L’ultimo allarme viene dalla Nigeria, dove, per la prima volta in Africa, il virus H5N1 è stato ritrovato in un allevamento di polli. La diagnosi però è avvenuta in Italia, e precisamente nel laboratorio dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie di Legnaro. Qui, infatti, grazie al progetto di collaborazione avviato tra il centro italiano e la Fao, il Training and cooperation programme, sono arrivati i campioni nigeriani. A coordinare gli sforzi è Ilaria Capua, virologa, punto di riferimento a livello europeo sullo studio dell’influenza aviaria. A lei, che ha presentato lo scorso 7 febbraio a Ghent il progetto di ricerca europeo di cui è responsabile – Fluaid -, abbiamo chiesto di fare il punto sull’allarme H5N1. Dottoressa Capua, perché è così importante studiare il virus negli animali?”Prima di tutto per la dimensione del problema: per ogni umano colpito dall’H5N1 c’è un milione di animali, che soffrono molto prima di morire nel giro di poche ore. Si tratta di un virus camaleonte, che si camuffa e modifica le proprietà del suo genoma, tanto da poter infettare molte specie diverse. Anche se per molti anatre e polli sono volatili, e quindi possono sembrare simili, dal punto di vista filogenetico fra queste due specie c’è la stessa differenza che c’è tra un gatto e un cavallo. In più l’H5N1 è il primo virus influenzale che colpisce anche i felini. Se non risolviamo il problema di salute animale non possiamo fare nulla per gli umani”.Ora che il virus si è così avvicinato e ha raggiunto un continente nel quale non ci sono strutture adeguate come quelle dei paesi industrializzati cosa succederà?”Dobbiamo capire quanto il virus sia diffuso effettivamente. Certo le condizioni dello sviluppo e delle infrastrutture veterinarie in Nigeria sono molto diverse da quelle europee. Per questo abbiamo dato vita al progetto di cooperazione con i paesi in via di sviluppo: l’idea è proprio quella di formare ricercatori e addetti che siano in grado di fronteggiare la situazione anche in quei luoghi. La Nigeria, comunque, ha laboratori ben attrezzati: nelle schede che accompagnavano i campioni era stato fatto un buon lavoro e i ricercatori che li avevano analizzati sul posto erano quasi arrivati alla diagnosi”. Quanto è importante nella lotta all’influenza aviaria la cooperazione internazionale?”E’ fondamentale. Per questo il progetto europeo che coordino – Fluaid – coinvolge oltre a dei paesi dell’Unione anche Pakistan, Vietnam, Indonesia, Thailandia, Sud Africa e Australia. Fino al ‘99 l’H5N1 non era molto studiato; questo vuol dire che la ricerca sta cercando di colmare dei vuoti, e che lo deve fare in fretta. Il coordinamento degli sforzi è quindi importante per ottenere dei risultati in tempi brevi. Per questo Fluaid prevede di realizzare una banca dati sui vaccini animali, di aumentare le conoscenze sui vaccini, sulle capacità di modificazione del virus e, come detto, di formare gli addetti dei paesi in via di sviluppo. Il nostro primo obiettivo rimane comunque quello di ridurre la circolazione del virus”. Come ci si può riuscire?”Primo: dobbiamo sapere esattamente quali e quanti sono i focolai di infezione e per questo abbiamo bisogno di buoni strumenti diagnostici. L’Italia ha un primato in questo senso: siamo stati noi a mettere a punto nel 2000 un metodo diagnostico per individuare la presenza del virus nei polli, uno strumento che è in grado anche di evidenziare se l’animale è stato vaccinato o no. Quindi dobbiamo accumulare più notizie su come il virus cambia e infine dobbiamo vaccinare gli animali”.Non tutti sono d’accordo però sull’opportunità di questa profilassi?”E’ evidente che ogni Stato deve decidere in piena autonomia sapendo quali e quanti sono sul proprio territorio gli animali minacciati dal virus. Per noi la vaccinazione va fatta in alcuni casi. Ma dobbiamo stare attenti: anche dopo essere stati vaccinati i polli continuano a rilasciare virus nell’ambiente, anche se la carica virale è ovviamente minore, e quindi vanno monitorati. Nella nuova direttiva europea in materia, comunque, la vaccinazione è stata contemplata come pratica anche ai fini commerciali. Prima non lo era, e gli allevatori non vaccinavano i polli perché poi non potevano venderli. L’Unione ha dimostrato di essere all’avanguardia su questi temi”.Anche in fatto di finanziamenti alla ricerca?”Si, l’Europa è stata la prima area politica a studiare l’influenza aviaria già nel 1999 e per questo ha sviluppato conoscenze di avanguardia. A dicembre scorso, poi, il direttorato generale ricerca ha formulato un bando di concorso dedicato esclusivamente alla ricerca in questo settore con il quale mette a disposizione 20 milioni di euro”.