Il primo passo è quello di piantare il seme. Ma per scegliere quello giusto c’è sempre bisogno di un po’ di brainstorming. Così, la Commissione europea ha deciso di avviare una procedura di consultazione pubblica sul tema dell’agricoltura biologica. Per inviare suggerimenti sul futuro della legislazione comunitaria basta compilare, entro il 10 aprile, un questionario direttamente online.
Semplificare il quadro giuridico, gestire la coesistenza delle colture geneticamente modificate,migliorare i sistemi di controllo e gli accordi commerciali per i prodotti biologici oltre che valutare l’impatto delle nuove leggi sull’etichettatura. In pratica, i punti di riferimento su cui intervenire sono quelli contenuti nei due regolamenti europei (834/2007 e 889/2008) che normano e tutelano le coltivazioni biologiche in tutti i Paesi dell’Unione.
L’agricoltura biologica è una attività sottodimensionata rispetto a quella tradizionale, e copre circa il 5% della superficie agricola utilizzata dai Paesi della Ue. Per l’Italia, tuttavia, rappresenta una buona fetta del settore agricolo. Secondo i dati Eurostat del 2010, nel nostro Paese ci sono 42mila aziende biologiche (il 2,7% del totale nazionale, un record in Europa) che gestiscono più di 1 milione di ettari (l’8,6% della nostra superficie coltivata). Il peso che l’Italia avrà nella consultazione non è ancora chiaro, visto che il nostro panorama è costituito soprattutto da una miriade di piccoli coltivatori. Come rivela il sesto Censimento dell’agricoltura curato dall’Istat, il 96% delle aziende agricole è a conduzione individuale.
La posta in gioco è comunque alta: negli ultimi 20 anni, come segnala la Commissione europea, il mercato dei prodotti biologici è cresciuto a dismisura, tanto da raggiungere, nel 2007, i 15 miliardi di euro in 15 Paesi dell’Ue.
Nonostante le aspettative che circondano la consultazione pubblica, tutti gli occhi sono puntati su chi, in sede europea, dovrà prendere le decisioni giuste. Tra i principali nodi da sciogliere, per esempio, resta quello dell’avversione da parte di molti piccoli agricoltori nei confronti delle piante geneticamente modificate. Poi, per i prodotti che arrivano sugli scaffali, dovranno entrare in gioco nuove politiche per la riduzione degli sprechi (Vedi Galileo: Quanto cibo sprechiamo e perché). Perché la strada che separa il campo dalla tavola non è mai a impatto zero.
Credits immagine: Will Merydith/Flickr