Capita a volte, sulle strade, di trovarsi in marcia dietro a una macchina le cui luci di stop lampeggiano continuamente, indicando così che il suo guidatore alterna a breve rapide accelerazioni e convulse frenate. Il frenetico individuo, così facendo, brucia inutilmente benzina a ogni accelerazione dato che l’energia di movimento appena acquistata dalla sua vettura, un attimo dopo viene dissipata frenando (1). Ma questo è solo uno dei tanti modi per consumare più carburante del necessario. Quanto al frenetico che ci precede, non conviene assolutamente tallonarlo a breve distanza, a nostra volta accelerando bruscamente e frenando continuamente, per non ricalcarne la frenesia e farci carico degli sprechi conseguenti, oltre che per ridurre il rischio di incidenti. E’ bene anzi accelerare sempre dolcemente, con grande attenzione a non premere mai troppo l’acceleratore. Perché dalla pressione sull’acceleratore dipende la quantità di carburante che, ad ogni suo giro, viene risucchiata dal motore.
Seguendo semplici accorgimenti (evitare di avere gli pneumatici sgonfi, il motore mal regolato, il portapacchi vuoto sul tetto, il condizionatore in funzione) può venire garantito un notevole risparmio di carburante. Naturalmente restando sempre ben lontani da quanto è possibile ottenere disponendo di veicoli speciali ultraleggeri. Come avviene nella gara annuale chiamata Eco-Marathon, dove i consumi arrivano a ridursi a meno di un millesimo di litro al chilometro! Con una tecnica di guida ultrarisparmiosa che consiste essenzialmente nell’alternare fasi di lenta accelerazione a tratti percorsi a motore spento.
L’energia persa
Tutti sanno ovviamente che il carburante serve a far camminare la macchina. Ma vale la pena di farsi un’idea di cosa avviene davvero, cioè dove va a finire effettivamente l’energia, ossia il calore, che si sviluppa quando il carburante, nel motore, viene bruciato. E allora bisogna ricordare che, sventuratamente, il secondo principio della termodinamica vieta la trasformazione integrale del calore in lavoro meccanico, cioè in quello che serve per far marciare una automobile. Quindi solo una frazione dell’energia del carburante risulta effettivamente utilizzabile, mentre il resto va disperso nell’ambiente cioè, in parole povere, sprecato. La frazione utile, in pratica, ammonta all’incirca a poco meno di un terzo (motori diesel) o di un quarto (motori a benzina) del totale. Mentre il calore residuo, che è la frazione maggiore, va smaltito presto e bene. A questo ci pensa il radiatore, sennò il motore si riscalda fino a cuocere qualche sua parte mettendola fuori uso, e allora sono guai. Ma anche il calore residuo, a volte, può risultare utile, come quando, d’inverno, lo impieghiamo per il riscaldamento.
E la parte utile, cioè l’energia meccanica sviluppata dal motore? Questa, oltre a far funzionare vari congegni interni, fra cui l’alternatore che mantiene sotto carica la batteria e il condizionatore, serve a due scopi principali. Il primo, quando occorre, è quello di accelerare la macchina, che acquista così energia di movimento, e di farla marciare in salita, in tal caso acquistando energia di posizione. Queste forme di energia si conservano: quella di posizione fino alla prossima discesa, quella di movimento fino a che la macchina resta in moto mantenendo la sua velocità, cioè fino alla prossima frenata. Si capisce allora, come si è già detto, che una guida convulsa, che alterni continuamente accelerazioni a frenate, è insensata: ogni volta si usa energia per accelerare la vettura ma subito dopo, frenando, la si dissipa. Trasformandola tutta nel calore che va a riscaldare i freni. Notiamo comunque che l’energia necessaria ad accelerare la macchina, come pure a farla marciare su un percorso in salita è direttamente proporzionale alla sua massa, cioè al suo peso. Molto approssimativamente, si valuta che per una vettura media 100 kg di peso addizionale comportino un aumento dei consumi di circa il 3%. E questo è un buon motivo per non sovraccaricare la macchina con pesi inutili. Ma anche, a maggior ragione, per orientare gli acquisti verso vetture non troppo massicce.
L’altro impiego principale dell’energia meccanica del motore è quello di vincere gli attriti, cioè le forze che si oppongono al moto. Ed è qui che va a finire quasi tutta l’energia del motore quando la macchina marcia in piano a velocità costante, quindi con energia di movimento e di posizione costanti anch’esse. Fra questi attriti c’è quello fra le gomme e la strada, chiamato attrito di rotolamento, che dissipa all’incirca il 20% dell’energia utile. E’ possibile diminuire questa perdita mantenendo gli pneumatici ben gonfi; meglio ancora utilizzando pneumatici più efficienti, che possono contribuire a ridurre di circa l’1% i consumi di carburante. Non demonizziamo però questo attrito, perché se si annullasse le ruote girerebbero a vuoto e le macchine resterebbero ferme (come del resto avviene su una superficie ghiacciata perfettamente liscia, dove l’attrito è veramente minimo). E del resto noi stessi, senza attrito, non potremmo camminare!
L’attrito più insidioso è costituito dalla resistenza che offre l’aria al moto dell’auto. Quello cioè che i costruttori cercano di ridurre dando alle vetture una forma aerodinamica. Perché insidioso? Perché il suo effetto non è semplicemente proporzionale alla velocità, ma al suo cubo. Il che significa che, raddoppiando la velocità, la potenza necessaria per vincere la resistenza dell’aria non si raddoppia ma diventa ben 23= 8 volte maggiore. Cosa della quale, viaggiando più veloci del ragionevole, nessuno si accorge e nessuno ci avverte. Per esempio, basta portare la velocità da 120 km/h a 150 km/h perché la potenza necessaria a vincere la resistenza dell’aria cresca del fattore (150/120)3 = 1,95, cioè praticamente si raddoppi. E con essa, come è ovvio, aumenta anche il consumo di carburante.
Modificare l’assetto aerodinamico della macchina contribuisce ad aumentare la resistenza dell’aria e quindi il consumo di carburante. Ciò avviene, per esempio, quando si viaggia a velocemente con i finestrini aperti, e soprattutto quando si dispongono valigie, sci o altro sul tetto della vettura. Anche l’energia persa a causa dei vari attriti va a finire tutta in calore, andando a riscaldare l’aria circostante e le gomme (meglio non toccarle dopo un lungo tragitto). Perché l’energia si conserva, cioè non si distrugge e quindi, come stabilisce il primo principio della termodinamica, va sempre a finire da qualche parte, dove magari non serve a nulla.
Rombi di troppo
Il rendimento del motore dipende parecchio dal numero di giri, che è indicato dal contagiri come numero di giri al minuto. Perché c’è un numero di giri ottimo, tipicamente fra 1500 e 2500, per cui il rendimento è massimo, allontanandosi dal quale la potenza meccanica sviluppata si riduce a parità di consumo di carburante. Il cambio serve proprio a questo, cioè a fare in modo che il motore funzioni nelle condizioni migliori, indipendentemente dalla velocità della macchina: alla partenza come durante una marcia veloce. Funzionando come un adattatore d’impedenza.
Per non far girare troppo velocemente il motore, conviene seguire una regola generale: quella di utilizzare sempre la marcia più alta possibile. Che significa anche, alla partenza, passare rapidamente dalla prima alla seconda e poi alle altre marce. Così facendo, il motore romba di meno e l’orecchio del guidatore è meno gratificato, ma anche di benzina ne scorre meno. Qui aggiungiamo ancora un suggerimento a favore di una guida non troppo veloce, approssimativamente fra metà e due terzi della velocità massima, a cui corrisponde generalmente la condizione di ottimo. Cioè di minimo consumo.
Per concludere, è istruttivo calcolare l’altezza h a cui verrebbe scagliata una macchina la cui energia di movimento, a seguito di un urto, venisse integralmente convertita in energia di posizione. Il risultato si ottiene uguagliando le espressioni matematiche delle due energie: h = v2 /259, dove la velocità v è espressa in km/h. E quindi marciando a 100 km/h si potrebbe venire scagliati all’altezza di 38 metri, che si quadruplica a oltre 150 metri viaggiando a 200 all’ora.
(1) L’articolo che proponiamo è stato adattato dal capitolo 8 di La fisica della sobrietà – Ne basta la metà o ancora meno, Edizioni Dedalo, 2012.
Questo articolo è stato pubblicato con lo stesso titolo sul numero di dicembre 2012 di Sapere. Ecco come acquistare una copia della rivista o abbonarsi on line.
Credits immagine: JaulaDeArdilla/Flickr