I lavori dell’Lhc sono ripresi a giugno, dopo una pausa di due anni in cui è stato eseguito l’atteso upgrade dell’impianto. Grazie a questo intervento, il più grande acceleratore di particelle al mondo opera adesso a 13 TeraelettronVolt (TeV) di potenza, un livello di energia mai raggiunto in un laboratorio, quasi il doppio di quello disponibile quando è stato individuato per la prima volta il bosone di Higghs. Dopo soli tre mesi è ancora presto per nuove scoperte, ma un articolo pubblicato sulla rivista Physics Letters B dai fisici dell’esperimento Csm (Compact Muon Solenoid) descrive già i primi risultati di questa seconda fase dell’Lhc, svelando cosa succede quando due particelle si scontrano a 13 TeV di potenza.
Lo studio ha analizzato i primi giri di prova dell’acceleratore, in cui due fasci di protoni sono stati sparati in direzioni opposte lungo i 27 chilometri di circonferenza dell’Lhc a una velocità prossima a quella della luce. Ognuno dei due fasci conteneva 476 gruppi da cento miliardi di protoni ciascuno, che hanno provocato collisioni tra le particelle al ritmo di una ogni 50 nanosecondi. Analizzando le registrazioni dell’esperimento, i ricercatori del Csm sono riusciti a identificare 150mila eventi di collisione protone-protone, valutando per ognuna il numero e le caratteristiche delle particelle prodotte.
In media, i nuovi risultati parlano di 22 particelle (adroni) prodotte da ogni collisione, circa il 30% in più rispetto a quando la potenza dell’acceleratore era di soli 7 TeV. Si tratta, come spiegano i ricercatori, di dati importanti: non solo confermano la teoria che ha motivato l’upgrade dell’acceleratore, ovvero che un maggiore livello di energia avrebbe aumentato le probabilità di trovare nuove particelle, ma forniscono anche un’immagine precisa delle tipiche collisioni del nuovo Lhc, che delinea lo sfondo su cui cercare gli eventi atipici che potrebbero celare qualche nuova particella ancora sconosciuta.
“A questa intensità osserveremo centinaia di milioni di collisioni ogni secondo”, spiega Yen-Jie Lee, ricercatore dell’Mit che ha coordinato il nuovo studio. “Il problema è che molte di queste collisioni sono eventi di background, e bisogna conoscerli molto bene per distinguerli da segnali particolari, che potrebbero indicare un possibile nuovo evento fisico. Ora quindi siamo finalmente pronti per la potenziale scoperta di una nuova particella”.
via: Wired.it
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