Libia, gli aiuti siano imparziali

La situazione in Libia si fa sempre più complicata. Alcune settimane fa le stime parlavano di 10 mila morti e oltre 50 mila feriti. E ora che la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell’Onu ha autorizzato l’intervento militare nel paese, l’emergenza umanitaria è destinata a peggiorare. I combattimenti tra i militari che appoggiano il rais e i ribelli spingono sempre più civili a cercare un riparo sicuro altrove o nei campi di accoglienza, mentre altri restano bloccati nelle zone sotto assedio e non possono essere raggiunti dagli aiuti. C’è bisogno di tutto: cure mediche, farmaci, generi alimentari, acqua potabile. Per essere sicuri che questi aiuti raggiungano tutta la popolazione, i paesi donatori devono garantire interventi umanitari imparziali e indipendente da interessi e da obiettivi militari e politici, spiega Link2007 Cooperazione in Rete, che raggruppa dieci tra le più importanti organizzazioni non governative italiane. In caso contrario, il lavoro delle Ong indipendenti rischia di essere visto come strumento nelle mani dei governi, e per gli operatori diventerà difficile prestare soccorso in tutte le aree della Libia.  

“Negli ultimi anni c’è la tendenza ad usare l’aiuto umanitario come strumento politico, e come tale viene percepito dai civili”, spiega Paolo Dieci, direttore del Comitato Internazionale per lo sviluppo dei popoli (Cisp). “Sarebbe sbagliato se i governi e gli enti sovranazionali orientassero gli aiuti in base alle considerazioni politiche, portando avanti dei progetti solo in alcune zone, per esempio quelle governate dalle forze ribelli, piuttosto che in altre dove c’è altrettanto bisogno”, continua Dieci. Il rischio è che le popolazioni finiscano per identificare le Ong come longa manus degli interessi dei governi, limitando quindi l’efficacia dei soccorsi. 

L’allarme di Link2007 non è campato in aria. Già in altre aree di crisi, come Somalia e Afghanistan, l’aiuto umanitario è stato strumento dell’azione militare e le organizzazioni sono diventate possibili bersagli, costrette a limitare la propria azione lasciando senza assistenza le popolazioni. È quanto rivela l’Humanitarian Response Index 2010 (Hri), il rapporto pubblicato dal centro di ricerca Dara che valuta l’efficacia degli aiuti umanitari nei conflitti e nei disastri sulla base dei principi della Good Humanitarian Donorship, carta sottoscritta nel 2003 dai governi maggiormente impegnati negli aiuti, tra cui l’Italia.

Secondo il documento, in Afghanistan, il coinvolgimento delle forze militari nella distribuzione degli aiuti con l’intento di conquistare “i cuori e le menti” dei civili ha intaccato l’immagine della neutralità e imparzialità delle Ong e delle agenzie Onu, sottoponendole al rischio di essere attaccate dai talebani. I dati del rapporto Oxfam “Whose aid is it anyway?” parlano infatti di 225 operatori uccisi, rapiti o feriti nel 2010 contro gli 85 del 2002. La prova di una eccessiva militarizzazione arriva anche dai Prt (Provincial Reconstruction Team), nati per assicurare stabilità in varie aree del paese e favorire la nascita di un ambiente favorevole alle riforme: oggi sono 27 in Afghanistan e sono parte integrante della struttura militare Usa, sotto il suo comando. Inoltre, secondo Dara, gli aiuti sono stati concentrati nelle aree di interesse strategico, quelle dove i paesi donatori sono presenti, lasciando insoddisfatti i bisogni delle popolazioni in altre zone del paese. La situazione non va meglio in Somalia. Qui, spiega Dieci, la tendenza dei paesi donatori è stata quella di concentrare gli interventi in aree controllate dal governo di transizione, abbandonando quelle in mano alle forze ad esso ostili. 

Il dibattito è acceso anche in Europa. “Con il trattato di Lisbona è stato istituito il Servizio di azione esterna Eeas, destinato alla gestione delle crisi internazionali, e si sta discutendo circa la possibilità di unire il budget europeo per gli aiuti, gestito in modo imparziale dall’European Community Humanitarian Office, a quello del nuovo organo. Ciò significherebbe porre definitivamente l’aiuto umanitario sotto la direzione dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera. A questo disegno si oppone la maggioranza delle organizzazioni non governative europee e anche la Commissaria per gli Aiuti Umanitari Kristalina Georgieva”, conclude Dieci. 

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