Quel movimento che ci rende umani

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(Foto: Hollie Santos su Unsplash)

Dopo lunghi anni di confronto e discussioni, il neuroscienziato Vittorio Gallese e lo psicologo Ugo Morelli espongono le loro idee sul significato dell’essere umani, sviluppando le conoscenze recentemente acquisite sulle caratteristiche biologiche e psicologiche che ci accomunano e ci differenziano dagli altri viventi. Il processo di individuazione, cioè la costruzione della personalità singola, si costruisce fin dal grembo materno, ma a questo si accompagna fin dal primo istante di vita la relazionalità, cioè la capacità/necessità di essere connessi con gli altri, a cominciare dalla propria madre. Dopo la nascita, le capacità di imitazione promosse attraverso il movimento permettono al bambino di sintonizzarsi e conoscere chi gli sta intorno, modificando continuamente se stesso nel rispecchiamento con gli altri.

Vittorio Gallese, Ugo Morelli Cosa significa essere umani? Corpo, cervello e relazione per vivere nel presente Raffaello Cortina Editore, 2024 pp 291, € 16,00

Il movimento nell’interazione

Il movimento costituisce, fin dall’inizio, la modalità principale dell’interazione, quello che permette ogni comunicazione: allontanarsi e avvicinarsi, protendersi e ritrarsi, sono aspetti primordiali della relazione tra sé e altro da sé. La risonanza motoria, cioè l’imparare a muoversi rispecchiando i movimenti degli altri, è quindi fondamentale per la nostra specie, e Gallese spiega come l’imitazione di gesti, movimenti ed espressioni altrui sia resa possibile dalla attivazione di particolari sistemi di cellule nervose indicate come neuroni specchio. Questi ci guidano all’empatia, per esempio a comportarci in un certo modo quando proviamo un dolore e a comportarci in modo simile ma non identico quando vediamo la sofferenza di un altro. L’empatia permette di riconoscere e condividere non solo esperienze dolorose ma anche felicità ed esperienze, facendoci sentire come se fossimo l’altro.

Il linguaggio che emerge dal corpo

Sulla base di conoscenze neurofisiologiche gli autori riprendono e sviluppano la teoria della simulazione incarnata: rigettando la tradizionale dicotomia mente-corpo, le recenti ricerche mettono in evidenza l’importanza del corpo e del movimento in ogni situazione di apprendimento. Anche il linguaggio emerge dal corpo, e permette di esprimere il significato delle cose, cioè di comprendere cosa abbiamo intorno e di comunicare quando qualcosa (la parola) sta per qualcos’altro (l’oggetto che rappresenta). Sempre il linguaggio guida il passaggio dalla meità all’alterità dell’esperienza differenziando, ma al tempo stesso mettendo in relazione, il sé con gli altri. Senza la riflessione linguistica che ci fa dire io, non sarebbe infatti possibile riconoscersi, cioè riconoscere di essere e di avere un corpo.

Conoscenza e apprendimento

Gli autori mettono ancora in evidenza la centralità del cervello motorio e del sistema sensorimotorio, soprattutto quando si tratta di comportamenti cognitivi riguardanti la conoscenza e l’apprendimento. Le ricerche di Rizzolatti, Gentilucci e altri portano a definire un vocabolario motorio, che contiene una serie di parole caratterizzate cognitivamente in termini di scopo. I neuroni della corteccia premotoria, infatti, sembra che non mappino semplici movimenti ma mappino lo scopo del movimento stesso, organizzando funzionalmente l’esecuzione di intenzioni motorie, addirittura anche quando il movimento viene soltanto immaginato. Questi risultati dovrebbero avere grande rilevanza per superare i limiti dell’educazione e della conoscenza come pura trasmissione del sapere e, riprendendo antiche idee di Von Foerster e di Varela, potrebbero portare ad un research based learning, avviando una vera rivoluzione nella comprensione dell’apprendimento umano. Se infatti la continuità è rassicurante, dei cambiamenti sembrano necessari: educare e formare alla discontinuità rappresenta allora una sfida per attivare la riflessione critica e coinvolgere, attraverso il linguaggio e l’azione, il cervello-corpo-mente nel processo educativo.

Valorizzare le emozioni

Lo scopo, allora, non è più la ripetizione di nozioni ma diventa per ciascuno quello di accrescere le proprie potenzialità di relazione col mondo, selezionando i segnali che guidano alla comprensione, cercando di sapere e sapendo di sapere. Voler valorizzare le emozioni nel processo di apprendimento porta necessariamente a modificazioni del contesto in cui questo accade, attivando nella relazione qualità empatiche, espressioni e messaggi non verbali, gestualità e possibilità di interagire direttamente con il proprio intorno.

La cooperazione con gli altri

Una interessante caratteristica delle argomentazioni che gli autori svolgono nel corso della loro complessa trattazione è la capacità di “ragionare per antinomie”, cioè quella di tenere presente e mettere in evidenza la relazione tra aspetti apparentemente discordi di una stessa situazione problematica, evitando contrapposizioni dualistiche. Sostenuti da una ricchissima bibliografia di pensatori (non soltanto scienziati), gli autori rendono quindi esplicita, nelle interpretazioni dei fatti, la complementarità tra continuità e discontinuità, tra analogie e differenze, tra stabilità e trasformazioni, tra natura e cultura, tra egoità e alterità, coniando addirittura il termine di coindividui per esprimere la dipendenza e la cooperazione del singolo con gli altri.

Creatività e bellezza

Gli ultimi due capitoli del volume sono dedicati l’uno alla creatività, esperienza estetica e bellezza, l’altro all’interno e l’intorno. Si affrontano qui aspetti che caratterizzano gli umani in un senso molto profondo e che concorrono a creare un nuovo racconto di noi stessi. Attraverso l’arte e la finzione narrativa possiamo infatti “raccontare storie”, senza le quali non sapremmo come esistere e non sapremmo avere coscienza di noi stessi. In conclusione, gli autori sottolineano come l’unico modo fertile di conservarsi in vita è quello di complicare la vita riconoscendone la complessità, nell’intreccio che fa di noi esseri “naturalculturali” (come scrive Giorgio Prodi), e che ci rende umani non come monoliti ma come pluralità.

Foto di Hollie Santos su Unsplash