Negli ultimi giorni il mondo della ricerca italiana è al centro di uno strano giallo, che ha come protagonisti l’Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova, un decreto legge indirizzato a tutt’altro, e l’ormai tristemente nota manina che fin troppo spesso di recente sembra modificare i provvedimenti del Governo. La vicenda è la seguente: nel cosiddetto investment compact, dl varato dal Consiglio dei ministri per incentivare il sistema bancario e gli investimenti nel nostro paese, è spuntato un misterioso articolo 5, per il quale l’Iit, centro di eccellenza nella ricerca tecnologica (dove è stato sviluppato ad esempio il robot iCub), dovrebbe trasformarsi di fatto in un’agenzia dei brevetti responsabile della gestione e della commercializzazione della proprietà intellettuale prodotta da tutte le università e i centri di ricerca italiani.
Un articolo misterioso dicevamo, perché di fatto nessuno sembrava saperne nulla fino a sabato scorso, quando il decreto è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale, tanto che lo stesso ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, si è detta all’oscuro della manovra, e ha promesso di intervenire per modificarne il testo. Per cercare di fare chiarezza su questa vicenda abbiamo intervistato Roberto Cingolani, che dal 2005 è il direttore scientifico dell’Iit.
Roberto Cingolani, eravate al corrente dei progetti del Governo per il vostro Istituto?
“A dire la verità noi dell’Iit non siamo stati consultati, e abbiamo appreso della vicenda dai giornali e dai colleghi. Avevamo fatto una richiesta in effetti, ma di tutt’altro tipo: che ci fosse cioè concesso di partecipare con una quota alle startup che nascono dai nostri laboratori. È una cosa che viene fatta da tutti i grandi istituti del mondo, e serve per aiutare i giovani ricercatori visto che le startup, soprattutto quando come noi ci si occupa principalmente di hardware, inizialmente hanno bisogno di forti investimenti. Quello contenuto nel fiscal compact è tutt’altro, e se ci fosse stato più tempo, e ci avessero consultato prima di varare la norma, avremmo potuto se non altro mostrare i numeri, per impostare una discussione costruttiva”.
Di che numeri parla?
“Le invenzioni prodotte dalle università e dai centri di ricerca italiani saranno almeno 10mila, e ognuna di queste può generare anche due o tre brevetti. Parliamo quindi di numeri a quattro zeri, e di brevetti che coprono tutto l’alfabeto scientifico, dal campo agroalimentare alla zoologia. La manovra che è stata varata richiede una struttura molto grande, e le risorse dell’Iit non bastano.
“Noi attualmente abbiamo circa 300 brevetti, di cui si occupano una quindicina di persone specializzate, con l’aiuto dei nostri ricercatori. Per fare quello che ci viene chiesto nel decreto legge, però, serve di più: serve una macchina da guerra. Un altro aspetto, che non ci riguarda forse direttamente ma che va affrontato, è il fatto che gli enti di ricerca e le università si sentono espropriate all’idea che sia qualcun altro a gestire la proprietà intellettuale che producono”.
Ma esistono esempi simili nel mondo? Enti che gestiscono una tale mole di brevetti?
“Esistono strutture colossali di trasferimento tecnologico, come il Max Planck Institute o il Fraunhofer in Germania, che gestiscono effettivamente migliaia di brevetti, ma che io sappia si tratta di realtà diverse, con strutture cresciute nel tempo per rispondere a una mole crescente di lavoro, e che si occupano di settori specifici della ricerca scientifica. Nel campo della proprietà intellettuale, infatti, ogni disciplina segue regole molto diverse e servono quindi esperti di ogni singolo settore per gestire efficacemente il trasferimento tecnologico in quel particolare campo. Il fatto che una certa cosa non esista però non vuol dire ovviamente che non possa funzionare”.
Quindi voi sareste pronti a fare quello che è previsto dalle norme contenute nel fiscal compact?
“Noi siamo un pezzo dello Stato e, se lo Stato ci chiede di fare qualcosa, non ci possiamo ribellare. Per ora il ministro ha detto che nei prossimi 60 giorni il decreto verrà modificato. Se poi l’idea dovesse rimanere quella attuale noi ci adatteremo, e metteremo a punto un’analisi tecnica. Per realizzare una struttura che si occupi di tutti i brevetti prodotti dalla ricerca italiana servirebbero comunque fondi ingenti, le attuali risorse dell’Iit non basterebbero, servirebbe tempo, e bisognerebbe mettere a un tavolo scienziati, tecnici e politici per discutere di come realizzarla. Noi però attualmente ci occupiamo di fare ricerca, di produrre brevetti e non di gestirli, quindi per fare una cosa del genere l’Istituto dovrebbe necessariamente cambiare radicalmente, a partire probabilmente da me”.
via Wired.it
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