Non tutti i carboidrati nascono uguali. Alcuni alzano velocemente la concentrazione di glucosio nel sangue. Altri hanno un’azione più lenta, anche detta basso indice glicemico. Si sente spesso dire che questi cibi sono più sani, aiutano a gestire meglio la fame, a perdere peso, e ad assicurarsi una dieta salutare. In particolare, l’indice glicemico (Ig) è stato proposto (nonostante non esistano molte prove scientifiche a riguardo) come strumento per valutare gli alimenti più adatti a chi soffre di diabete o di prediabete, patologie legate alla difficoltà dell’organismo di regolare la quantità di glucosio presente nel sangue. Una nuova ricerca presentata nel corso del congresso annuale dell’American Society for Nutrition mette però in dubbio la sua utilità: l’indice glicemico di un cibo – ha spiegato infatti Nirupa Matthan, della Tufts University, presentando i nuovi risultati – mostra una variabilità estremamente elevata da persona a persona, e sarebbe quindi un indicatore poco affidabile della velocità con cui un cibo aumenta il glucosio nel sangue.
Diabete, alimentazione e Ig
Secondo i dati riportati dal ministero della salute, in Italia oltre 3,5 milioni di persone (circa il 5,9% della popolazione) sono affette da diabete di tipo 2, con una tendenza in leggero aumento negli ultimi anni. L’alimentazione e condizioni concomitanti quali sovrappeso e obesità svolgono un ruolo fondamentale nel controllo e nello sviluppo della malattia in soggetti predisposti come i prediabetici, sui quali si è focalizzato lo studio presentato il mese scorso. Anche il prediabete è infatti considerata come una condizione di rilievo: è caratterizzato da livelli di glucosio nel sangue superiori alla norma, ma non abbastanza da essere classificati come diabete, e predispone ad un elevato rischio di progressione verso il diabete di tipo 2.
Per quanto riguarda l’indice glicemico, si tratta di un indicatore ideato negli anni ’80 e da allora comunemente impiegato per predire la velocità con la quale un determinato alimento causerà l’aumento di glucosio libero nel sangue (glicemia) dopo essere stato consumato, risultando nella classificazione dei diversi tipi di cibo nelle tre categorie ad alto, medio e basso indice glicemico.
I risultati di studi recenti
Secondo il nuovo studio, tuttavia, la risposta all’assunzione di un determinato alimento in termini di aumento glicemico varia in modo sostanziale da individuo ad individuo, riferisce il New Scientist. I risultati presentati alla conferenza sono stati ottenuti studiando soggetti con prediabete, e non sono ancora stati pubblicati su una rivista scientifica peer reviewed. Sono comunque in linea con i risultati di un precedente studio pubblicato nel 2016 dallo stesso gruppo di ricerca, svolto su soggetti sani, in cui i valori di Ig calcolati dopo il consumo della stessa quantità e tipologia di carboidrati avevano dimostrato variazioni medie del 25% fra soggetto e soggetto e del 20% per il singolo individuo in misurazioni distinte.
Non di solo Ig…
Inoltre, un gruppo di ricerca della stessa università aveva precedentemente studiato l’impatto del consumo di altri nutrienti prima e durante l’assunzione di un alimento, concludendo che l’Ig è dipendente da entrambe le variabili. Il solo utilizzo dell’Ig per predire l’innalzamento glicemico a seguito del consumo di un certo alimento potrebbe quindi essere fuorviante. I risultati del nuovo studio, ovviamente, vanno considerati per ora preliminari: sarà necessario attendere le revisioni dello studio e la sua pubblicazione su una rivista peer reviewed, ed eventuali ulteriori conferme da parte di altri gruppi di ricerca, prima di considerare definitivamente chiusa la questione.