L’insostenibile pesca del tonno

La maggior parte del tonno in scatola italiano non è sostenibile: per pescarlo vengono utilizzate tecniche dannose per l’intero ecosistema marino. Lo rivela il rapporto “Tonno in trappola” sulla sostenibilità del settore del tonno in scatola realizzato da Greenpeace. Nella classifica “Rompiscatole” stilata dall’associazione ambientalista, su 14 aziende ben 11 non hanno precisi criteri per garantire che il proprio tonno non derivi da una pesca che danneggia l’ambiente.

Il tonno è la conserva ittica più venduta in Italia e nel mondo con un volume d’affari intorno ai 19,3 miliardi di euro l’anno, ma sono pochi i consumatori consapevoli di quello che c’è nelle scatolette.

Per pescare questo pesce si usano spesso metodi distruttivi come i palamiti e le reti a circuizione con sistemi di aggregazione per pesci (o FAD), che sono responsabili della cattura accidentale di un’ampia varietà di altre specie, tra cui tartarughe e squali, e di molti esemplari immaturi di tonno . Per ogni mille tonnellate di tonno pinna gialla pescato con FAD in tre anni, circa 111mila esemplari di altre specie animali, tra cui squali, mante, marlin e tartarughe marine, sono catturati dai pescatori. E proprio il pinna gialla, il più consumato in Italia, è sottoposto a un’intensa pesca che ne sta minacciando gli stock. “In Italia si consumano più di 140mila tonnellate di tonno in scatola all’anno”, spiega Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace. “Ma non esiste sul mercato un marchio realmente sostenibile. È ora che distributori e produttori si assumano la responsabilità degli impatti ambientali causati dalla pesca del tonno che vendono e che prendano impegni precisi per evitarli”.

Per questo Greenpeace ha effettuato un’indagine sulla sostenibilità delle 14 aziende che insieme coprono più dell’80 per cento del nostro mercato. La maglia nera va a due dei marchi più venduti in Italia, Tonno MareAperto Star e Consorcio, per la loro assoluta mancanza di trasparenza. Un punteggio di 0,7 a Nostromo che fornisce ben poche informazioni sulla provenienza del tonno utilizzato. Va meglio a Riomare che però, pur presentando informazioni precise sull’origine dei propri prodotti, si trova comunque in basso non avendo adottato precisi criteri di sostenibilità nella scelta del tonno utilizzato. In cima alla classifica, invece, ci sono Coop, ASdoMar e Mare Blu, le uniche ad avere una regolamentazione per l’approvvigionamento sostenibile. ASdoMar, inoltre, è uno dei pochi che, in metà dei propri prodotti, utilizza il tonnetto striato, specie considerata in buono stato e pescata con metodi sostenibili (lenza e amo).

“Le decisioni dei produttori di tonno in scatola e della grande distribuzione organizzata possono davvero trasformare il mercato. La soluzione esiste, e prima che anche gli stock di tonno tropicale vengano totalmente compromessi – come è successo per il tonno rosso del Mediterraneo – bisogna eliminare gli attrezzi pericolosi, ridurre lo sforzo di pesca e tutelare con riserve marine le aree più importanti per queste specie” conclude Giorgia Monti. Cosa possono fare le aziende e i supermercati? Il rapporto di Greenpeace è chiaro: adottare regole chiare per l’approvvigionamento sostenibile del tonno; garantire la completa tracciabilità dei propri prodotti; smettere di comprare tonno catturato con pratiche non sostenibili e tonno di specie in declino e assicurare trasparenza ai consumatori fornendo sull’etichetta precise informazioni riguardo al tonno utilizzato nelle scatolette. (r.p.)

Fonte: GreenPeace Rapporto “Tonno in trappola”

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