Quando si riunirono per la prima volta erano 421, due anni dopo erano già più del doppio. La storia dei congressi degli scienziati italiani corre parallela a quella dell’Unità d’Italia: lo spirito unificatore che ha spinto geologi, fisici, medici e matematici a condividere giornate di studio in cerca di una posizione comune rispecchia quello che ha animato eserciti e politici per dare un’identità unica alla nazione. Visitando la mostra virtuale “Scienziati di tutta Italia, unitevi!”, che propone on line i documenti di tutti i congressi dal 1839 al 1875, l’ intreccio tra scienza e politica è la prima cosa che colpisce. Da quando vennero inaugurate nel 1839 a Pisa fino al periodo postunitario, le riunioni scientifiche hanno sempre rispecchiato il clima dell’epoca. Gli argomenti affrontati erano gli stessi discussi nei vari luoghi di potere: quale modello scegliere per l’istruzione pubblica, quali misure adottare a favore dell’industria nascente, come incentivare l’agricoltura.
Per risolvere le questioni da un punto di vista scientifico era però necessario avere salde basi comuni, linguaggi condivisi, modelli di riferimento validi per tutti. Ecco allora che tra i primi obiettivi delle riunioni ci fu l’adozione del sistema metrico decimale, l’uniformazione delle statistiche in campo sanitario, l’elaborazione di una carta geologica italiana, la creazione di un erbario. Tutto ciò servì a rafforzare la comunità scientifica italiana che nel Congresso del 1873, per iniziativa del chimico Stanislao Cannizzaro, si riunì nella Società Italiana per il Progresso delle Scienze (SIPS), attiva ancora oggi.
Ma chi erano i protagonisti di questi Congressi? “Inizialmente i delegati chiamati a partecipare erano i membri delle accademie scientifiche, i professori universitari di scienza e medicina, i direttori di studi, gli alti ufficiali del Genio militare, i direttori delle miniere, degli orti botanici, e i prefetti dei musei naturalistici. A questa comunità si aggiunsero ben presto , non senza polemiche, dilettanti aristocratici e possidenti e, a partire dagli ultimi congressi, archeologi, storici e filosofi. Il progressivo allargarsi della platea dei partecipanti costituisce un segnale del successo riscosso dai Congressi”, spiega Marco Beretta, direttore del Museo Galileo che con questa mostra festeggia, oltre ai 150 anni dell’Unità d’Italia, anche il primo compleanno della struttura che dirige
Attraverso una timeline che va dal 1839 al 1875, la mostra mette a disposizione dei visitatori la versione digitalizzata dei documenti di archivio, dei manoscritti, degli atti finali, oltre agli elenchi completi dei partecipanti accompagnati da schede biografiche e ritratti e alle immagini dei materiali celebrativi diffuse in occasione delle riunioni, vissute come veri e propri eventi cittadini. La finestra che corrisponde al 1848 in realtà non avrebbe dovuto esserci: il congresso previsto a Siena venne infatti annullato per “i gravi casi politici in ogni parte della Penisola”. La scelta di inserire comunque la documentazione esistente su quell’evento sarà sicuramente apprezzata dagli storici.
Curiosando nell’archivio ci si imbatte in retroscena poco noti. Non tutti forse sanno che la riuscita del primo congresso si deve a un colpo di mano di Carlo Luciano Bonaparte, nipote di Napoleone, principe di Canino e Musignano. Fu lui a imporre la convocazione a Pisa del simposio dandone un annuncio a sorpresa sull’Allgemeine Zeitung prima che il Granduca di Toscana Leopoldo II avesse accettato l’impegno.
Dopo Pisa fu il turno di Torino, Firenze, Siena, Roma, Palermo. Tutte le volte la cittadinanza veniva coinvolta con eventi paralleli, messe, balli, banchetti, spettacoli. “Criticate da alcuni scienziati come effimere”, conclude Marco Beretta, “le iniziative di contorno conferirono alla scienza italiana un prestigio culturale da tempo assente nell’opinione pubblica colta”.