La solitudine è come la fame. È quanto sostiene un team di ricercatori del Mit di Boston che ha condotto una ricerca dimostrando che le persone costrette all’isolamento bramano le interazioni sociali allo stesso modo in cui chi è affamato desidera del cibo. Lo studio, condotto nel 2018-19 (quindi prima dei lockdown da pandemia), è stato pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience.
Studiare l’isolamento in laboratorio
Come abbiamo potuto tutti sperimentare durante i lockdown di questa pandemia, l’isolamento sociale negli esseri umani (e non solo) genera un disagio emotivo. I fenomeno è noto, tuttavia, poco si sa delle basi neurologiche. Per capirne di più, il team di Rebecca Saxe e il suo team del McGovern Institute for Brain Research del Mit hanno provato a indurre nell’essere umano questo tipo di stress sociale in un esperimento in condizioni controllate.
I ricercatori hanno coinvolto nello studio 40 volontari sani ai quali hanno chiesto di rimanere confinati in una stanza senza finestre per 10 ore: non avrebbero avuto nessun contatto diretto con altre persone, niente smartphone o telefoni ma solo un computer per comunicare con gli scienziati in caso di necessità. Esclusi anche i contatti occasionali e fugaci in occasione delle visite al bagno, consentite previa verifica da parte dei ricercatori che il servizio non fosse occupato, e dell’erogazione dei pasti, lasciati fuori della porta.
Allo scadere delle 10 ore di clausura, ma sempre in solitudine, ciascun volontario si è sottoposto a scansione cerebrale con risonanza magnetica, per onitorare l’attività del cervello mentre venivano mostrate loro immagini di persone coinvolte in interazioni sociali positive o immagini neutre, come, per esempio, dei fiori.
Le stesse persone, in un altro momento, sono state tenute a digiuno sempre per 10 ore, per sottoporsi poi a scansioni cerebrali mentre visionavano immagini di cibo o immagini neutre.
Fame di socialità
Analizzando le immagini di risonanza magnetica i ricercatori hanno così scoperto che dopo il forzato isolamento, le immagini di interazioni sociali attivavano la substantia nigra (un’area del cervello umano coinvolta nei circuiti del desiderio di cibo e droghe) allo stesso modo delle immagini di cibo dopo ore di digiuno. Altre regioni cerebrali, invece, venivano coinvolte in modo più specifico dall’isolamento sociale o dalla fame, suggerendo che esistano anche circuiti specifici che rispondono a desideri/bisogni diversi.
I ricercatori hanno inoltre notato che la risposta del cervello delle persone all’isolamento variava in base al livello di solitudine a loro abituale. “Per le persone che hanno riferito di avere vite davvero piene di interazioni sociali soddisfacenti, questo esperimento ha avuto un effetto maggiore sul cervello, confermato dalle loro stesse segnalazioni”, ha spiegato Saxe. “La nostra scoperta corrisponde all’idea intuitiva che le interazioni sociali positive siano un bisogno umano fondamentale e la solitudine acuta sia uno stato di avversione che motiva le persone a colmare la mancanza, in modo simile a quanto avviene per la fame”.
Su queste basi gli scienziati ritengono di poter arrivare a capire come l’isolamento sociale influisca sul comportamento delle persone, se e in che modo i contatti virtuali (come quelli che abbiamo sperimentato durante i lockdown) riescano ad appagare il desiderio di interazione fisica e sociale e se ci siano differenze tra le varie fasce d’età.
Fonte: Nature Neuroscience
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