I punti di vista possono variare, ma l’oro è decisamente più utile in un superconduttore che in un gioiello raffinato. Almeno così è secondo il team di ricercatori della University of Michigan e il loro nuovo materiale elastico a base di nanoparticelle. Uno studio pubblicato su Nature spiega come è possibile che gli strati formati dal polimero e sfere di metallo prezioso conducano elettroni anche in condizioni estreme.
Quando si tratta di ideare nuovi superconduttori – in questo caso a base di poliuretano e oro – la sfida più grande è quella di renderli altamente efficienti nonostante le deformazioni. Un altro traguardo è quello della biocompatibilità con i tessuti umani: minore è il rischio di rigetto da parte del corpo, maggiori sono le possibilità di impiego in medicina e altri campi delle biotecnologie applicate.
Secondo Nicholas Kotov, autore dello studio e ingegnere biomedico presso la University of Michigan, la chiave del succeso del superconduttore sta nella libertà di movimento delle particelle d’oro dal diametro di circa 13 nanometri. Quando la matrice di poliuretano si distende elasticamente, le sfere auree si ridispongono all’interno della struttura in modo tale da mantenere costante il trasferimento di elettroni.
Nello specifico, l’equipe di Kotov ha realizzato due varianti del supeconduttore: una a multistrati alternati (layer-by-layer, Lbl) e l’altra a sospensione libera di nanoparticelle (vacuum-assisted flocculation, Vaf). I test elastici hanno dimostrato che il formato Lbl è dotato di una conduttività migliore – 11mila Siemens per centimetro (S/cm) – mentre Vaf si attesta intorno a 1800 S/cm. Viceversa, la maggiore presenza di poliuretano contenuto nel secondo preparato lo rendeva molto più deformabile.
Quale sia il formato migliore gli scienziati non sono ancora riusciti a capirlo, tuttavia hanno le idee molto chiare su come utilizzarli nella realizzazione di nuovi strumenti biomedici. “Gli impianti cerebrali possono alleviare varie forme di dolore”, ha detto Kotov, “per esempio quelle causate dalla depressione profonda, dall’Alzheimer e dal Parkinson. Possono anche funzionare come interfacce di protesi artificiali controllate dal cervello”.
La University of Michigan è ora decisa a richiedere un brevetto per l’utilizzo industriale del superconduttore. L’unica difficoltà sembra quella rappresentata dal costo elevato dell’oro, che potrebbe essere comunque sostituito in futuro da metalli e matrici differenti (vedi Galileo: Un solvente diventa superconduttore). In gioco c’è la possibilità di far comunicare i tessuti viventi con computer sofisticati. Abituati come siamo a osservarle da fuori, forse faremo un po’ di fatica ad accorgerci delle macchine che invece lavorano dentro di noi.
Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature12401
Credits immagine: Ondablv/Flickr
Per favore usiamo un lessico adeguato. Superconduttore non è proprio la parola esatta.