Qual è la città più connessa al mondo? O meglio dove si possono trovare i migliori servizi finanziari, assicurativi, legislativi e d’impresa? Londra. A rispondere è uno studio condotto da Peter Taylor del Dipartimento di geografia della Loughborough University (in Gran Bretagna) per conto dell’Economic and Social Research Council inglese. Una ricerca imponente che prevede l’analisi di migliaia di dati provenienti da tutto il mondo raccolti dal Globalization and World Cities Study Group and Network. E i risultati non hanno mancato di sorprendere: Tokyo è solo al quinto posto, sotto Parigi e Hong Kong. Per realizzare la prima analisi urbana globale i ricercatori hanno studiato una rete di uffici di 100 imprese con sedi in tutto il mondo, misurando così le connessioni di 316 città e stimando il grado di connessione di ognuna. “Il nostro modello matematico misura la rete delle città a livello mondiale”, spiega Taylor. Il grado di globalizzazione si calcola quindi in base alle connessioni interne ed esterne delle città che testimoniano da una parte la capacità di fornire servizi, dall’altra le relazioni economiche che quella capitale ha saputo costruire. Per scalare la top ten quindi non serve “tentare di riprodurre fotocopie di Londra o New York: ogni città deve coltivare i suoi vantaggi particolari. E sviluppare nicchie funzionali e geografiche”, spiega Taylor.
La classifica delle città più globalizzate, dopo la capitale inglese, vede al secondo posto New York, seguita da Hong Kong, a testimonianza dell’influenza crescente del mercato cinese sulla fornitura globale di servizi di business, mentre al sesto posto troviamo Milano. “Il modello utilizzato analizza i collegamenti a tre livelli: la rete che rappresenta l’economia mondiale, i nodi che sono le città e i sottonodi ovvero le imprese che offrono servizi globali. Nel modello le imprese hanno un ruolo chiave, perché sono loro a decidere dove piazzare gli uffici nelle città di tutto il mondo”, precisa Taylor. Le 123 città selezionate dai ricercatori inglesi, che raggiungono punteggi al minimo pari a un quinto di quello fatto registrare da Londra, sono distribuite su tutta la superficie del Pianeta. Tra queste: Lagos e Nairobi in Africa, Lima e Bogotà in America Latina e Calcutta nell’Asia del Sud. Ma, come si può facilmente immaginare, il maggior numero è concentrato in Nord America, Europa occidentale e Asia. I ricercatori però si spingono oltre e spiegano: “La globalizzazione non è un monolite e nel mondo si distinguono diversi tipi di globalizzazione anche in base ai servizi economici e finanziari”, dice Taylor. Per esempio: tra due poli come Francoforte e Monaco, domina un modello economico di tipo legale e bancario, da New York si dirama un modello che copre i mercati nazionali di tutto il mondo e che è di tipo pubblicitario.
I risultati ottenuti dal team inglese però si distinguono dalle conclusioni degli altri modelli per interpretare la globalizzazione. Spiega Taylor: “Noi leggiamo il mondo come una rete, mentre le interpretazioni geopolitiche usano un modello a mosaico. Il nostro progetto considera la globalizzazione come uno spazio mondiale di flussi, la maggior parte delle analisi internazionali effettuano prevalentemente confronti tra Paesi”. Oltre alle megalopoli, infatti, lo studio rilancia il ruolo anche di altri agglomerati urbani: una sorta di “cancello” verso i mercati regionali e nazionali. Basti pensare al ruolo di Hong Kong per la Cina e di Singapore per il Sudest asiatico, di Miami per Caraibi e America Latina. E ancora di Mumbai per l’India, di Toronto per il Canada, Sydney per l’Australia, San Paolo per Brasile e Sud America, e Città del Messico per il Messico. Accanto a questi centri poi stanno emergendo delle città di riferimento per nuove attività finanziarie: come Mosca per la Russia e Beijin per la Cina. “Le città connesse sviluppano diverse relazioni che riguardano istruzioni, informazioni, conoscenze, idee, piani, progetti che a loro volta si riflettono in una rete di uffici di imprese attraverso i quali tentano di fornire un servizio senza connessioni ai loro clienti”. Lo studio infine mostra per la prima volta che la globalizzazione non deve essere esaminata con i parametri della geografia tradizionale fatta di confini e risorse locali. Che le attività si organizzano a livello globale con variazioni gerarchiche, regionali e settoriali. E che le città possono essere considerate delle lenti per guardare il mondo come una rete connessa a livello globale.