Michel Marmot
La salute disuguale. La sfida di un mondo ingiusto
A cura di Simona Gianpaoli e Giuseppe Traversa
Il Pensiero Scientifico Editore
Pp 234, € 32.00
“La salute è troppo importante per essere affidata esclusivamente ai medici”. Lo sostiene Michael Marmot, epidemiologo e oggi a capo dello UCL Institute of Health Equity, studioso che ha dedicato una vita a mettere in evidenza l’impatto delle disuguaglianze sociali sulla salute. L’enorme quantità di dati raccolti fin dagli anni ’60 del secolo scorso, rielaborati e raccontati insieme a esperienze personali emblematiche, sono presentati in questo volume con l’intento di sensibilizzare i singoli cittadini, le Istituzioni e i governi a “fare qualcosa, fare di più, farlo meglio” per costruire una società sana. Questo obiettivo comporta in primo luogo una presa di coscienza su quanto e come le condizioni sociali siano responsabili della salute e della malattia degli individui. Per migliorare la salute, sostiene Marmot, è necessario migliorare le condizioni di vita delle persone: è indispensabile ampliare lo sguardo e il campo di azione delle istituzioni e comprendere che la lotta contro le disuguaglianze è fondamentale per avere, ognuno, maggiore autonomia e maggior controllo sulla propria esistenza. La salute è politica, sostiene ancora Marmot; non nel senso di una continua e spesso sterile opposizione tra partiti di destra e di sinistra, ma come necessità di condividere una prospettiva morale che investa la natura stessa della società.
Le statistiche e i dati, raccolti e analizzati, parlano chiaro: maggiore è la deprivazione economica, minore è l’aspettativa di vita. Per ogni società può essere individuato un gradiente sociale che mette in relazione disuguaglianza sociale e salute, e si possono dunque confrontare statisticamente le esigenze e le aspettative di vita tra fasce di popolazione con diverso reddito. Ma la disuguaglianza non è semplicemente povertà. Infatti non riguarda soltanto l’avere o il non avere il minimo necessario quanto la relazione tra ciò che si ha e quello che hanno gli altri: si è poveri anche se non si possono ospitare gli amici dei figli, comprare regali, fare una vacanza. Se si è poveri, le possibilità di ammalarsi, non curarsi o curarsi male sono maggiori. A questo gradiente sociale interno, valutato all’interno di ciascun paese, si accompagna un gradiente esterno, cioè una evidente variabilità della salute tra paesi che sono relativamente ricchi ma che presentano grandi disuguaglianze sociali. Marmot smentisce così un importante luogo comune: non è vero che paesi ad alto reddito siano più sani di paesi a reddito basso; la differenza in salute tra classi ricche e classi povere è evidente anche nei paesi più evoluti. Un altro luogo comune messo in discussione è certamente coinvolgente: non sempre ci sono responsabilità personali nella propria situazione di povertà. È facile trinciare giudizi: è malato perché mangia male, fuma, non si cura, dunque non trova lavoro. In fondo se lo merita, di essere povero e malato…
Ma, considera Marmot, le condizioni di vita influenzano i comportamenti, e per ognuno le scelte effettivamente possibili sono limitate. La gente non ha una buona salute soprattutto perché non ha una buona assistenza sanitaria, e si abbandona a cattive abitudini di vita perché è ignorante. Dovrebbe essere responsabilità politica cambiare tali condizioni, culturalmente ed economicamente: è questo un primo passo indispensabile per la lotta all’obesità, al fumo, allo stress e all’alcoolismo.
La posizione sociale condiziona le persone fin dalla nascita, in una catena senza fine: se i genitori non possono occuparsene adeguatamente, il bambino sarà più soggetto a malattie, avrà uno sviluppo cognitivo ridotto, non avrà possibilità di istruirsi o avrà uno scarso successo scolastico, con conseguenti modeste condizioni economiche, maggiori probabilità di ammalarsi e più basse aspettative di vita. Se Nietzsche diceva che “ciò che non ci uccide rende più forti”, i dati raccolti da Marmot dimostrano che invece le esperienze negative danneggiano, aumentano il divario sociale e rendono le persone più soggette alle malattie. Nelle sue proposte, la società deve piuttosto impegnarsi a ridurre a tutti i livelli la deprivazione materiale, principale causa della violenza individuale e delle disuguaglianza di salute, promuovendo invece l’istruzione e aumentando l’equità sociale attraverso le maggiori possibilità di lavoro.
Utopie? I conflitti tra gli economisti Keynesiani e i fautori del’austerità espansiva sono all’ordine del giorno, mentre i governi pilotano le loro politiche ora in una direzione ora nell’altra. Dati raccolti in diverse nazioni, in diverse condizioni economiche e sociali, non danno risposte definitive. Ma certo si assiste a cambiamenti mondiali che bisogna fronteggiare. Le popolazioni invecchiano, il rapporto donne-uomini si sposta verso una maggiore femminilizzazione, i bisogni di welfare aumentano mentre le ricchezze del pianeta si concentrano su piccoli gruppi di potere lasciando la maggior parte delle popolazioni alle prese con crescenti difficoltà. E le disuguaglianze in denaro portano a disuguaglianze nella vita quotidiana con conseguenti disuguaglianze in salute. Per questo Marmot propone e raccomanda la necessità di potenziare una protezione sociale universale, non soltanto per paesi a basso reddito. Da qualche tempo, la comunità globale sta cominciando ad accogliere le sue proposte, a partire dall’ILO (Ufficio Internazionale del Lavoro), seguendo le idee di economisti come Amartya Sen e Jean Drèze già sperimentate in Brasile. L’UNDP (United Nation Development Program) ha cominciato a comprendere la salute, il reddito nazionale e l’istruzione tra i parametri da valutare per determinare lo sviluppo di un paese e i dati dimostrano che una società che spende di più in scuole e servizi sanitari ha un punteggio migliore in istruzione, salute e reddito.
Anche l’Italia, scrive Giuseppe Costa nella sua postfazione al volume, sta rispondendo all’appello di Marmot, superando non poche difficoltà politiche ed economiche, ed i primi risultati sono stati pubblicati nel 2014 in una Marmot Review, molto orientata verso azioni concrete. I dati raccolti sono ancora positivi: la situazione italiana, come quella di altri paesi del mediterraneo, dimostra una certa resilienza alle disuguaglianze mentre aspetti di solidarietà familiare, tradizioni alimentari e ragioni culturali proteggono ancora la nostra società dall’impatto di quei differenziali sociali ben presenti in altri paesi.