Dopo un lungo periodo di tempo in cui l’uso anche terapeutico di sostanze psichedeliche come l’LSD e la psilocibina era assolutamente proibito, oggi molti scienziati, soprattutto in psichiatria, sono convinti che, in condizioni controllate, gli allucinogeni possano guarire depressione e fobie senza gravi danni collaterali. Agnese Codignola, giornalista con un dottorato in farmacologia, raccoglie in un volume la storia dell’LSD e di altre sostanze con effetti similari, presentando sia le testimonianze dei primi tentativi di uso terapeutico, sia citando le sperimentazioni di oggi, che prevedono una loro eventuale somministrazione controllata in caso di patologie specifiche.
I tentativi di capire qualcosa sul funzionamento delle sostanze psicoattive hanno comunque una lunga storia. Se si dovessero seguire i criteri scientificamente condivisi di un corretto trial clinico si vedrebbe chiaramente come, da questo punto di vista, la maggior parte dei risultati ottenuti prima del 2000 siano inattendibili: si basano infatti su dati raccolti in interviste, opinioni, dichiarazioni di pazienti, e le percentuali di successo del trattamento sono calcolate sulle sensazioni di benessere riportate da gruppi esigui di persone che hanno accettato sperimentazione e trattamento.
Lo studio degli effetti dell’assunzione dell’LSD è iniziato quando il chimico svizzero Albert Hofmann nel 1943 riuscì a sintetizzarne la molecola, ottenendo ‘la droga magica’ che tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta ebbe un ruolo fondamentale nella cultura della Beat generation. Hofmann iniziò la sperimentazione su se stesso, descrivendo le alterazioni e le allucinazioni provate con diverse quantità di sostanza. La sua longevità non sembra essere stata influenzata da queste esperienze, essendo morto all’età di 102 anni, nel 2008. Negli anni intorno al 1960 los crittore e psicologo statunitense Timothy Leary, in collaborazione con lo scrittore Haldous Huxley, in molti esperimenti – e in particolare in quello detto “del Venerdì Santo” – provò a sperimentare su gruppi di volontari droghe come la psilocibina e altri derivati dall’LSD: l’assunzione provocava estasi mistiche capaci di cambiare in maniera radicale la personalità delle persone. Questi risultati permisero a Leary di immaginare come questa sostanza potesse ristrutturare i circuiti mentali permettendo poi di ricostruirli su altre basi.
Nella seconda metà del secolo scorso, nonostante le legislazioni molto restrittive in vigore in molti Paesi, diversi psicofarmaci vennero impiegati in varie forme di interazione terapeutica e psicologica, di solito su gruppi di pazienti con caratteristiche particolari. Si apprestavano ambienti adatti, situazioni favorevoli, si somministrava il farmaco e se ne osservavano gli effetti. Talvolta il terapeuta stesso assumeva la droga insieme ai pazienti, e questo rendeva l’esito della sperimentazione scientificamente inattendibile. In piccole dosi, comunque, e associata a sedute di psicoterapia, gli effetti dell’assunzione sembravano positivi.
Ma i limiti della piena conoscenza delle sostanze psichedeliche sembrano insiti nella cultura occidentale. L’accusa viene da Stanislav Grof, psichiatra ceco e pioniere dell’uso terapeutico degli psichedelici per malati terminali. Attraverso la psicologia transpersonale – ovvero, semplificando all’estremo, la quarta forza della psicologia, incentrata sulla piena realizzazione del sé e sul risveglio della spiritualità di ciascuno – grazie all’uso controllato di sostanze e una forma di respirazione olotropica, i malati terminali avrebbero potuto raggiungere uno stato di Ego dissolution, in cui sentirsi parte di un tutto e trasformarsi psicologicamente in modo da accettare la morte come l’ingresso in una nuova dimensione. Secondo Grof e la sua scuola terapeutica era importante far emergere, negli stati alterati della coscienza, le manifestazioni degli stati profondi della psiche. Ma il fondamentalismo religioso e il bigottismo – afferma però Grof – impediscono ai ricercatori occidentali di sviluppare queste conoscenze, e di ammettere la possibilità che “al di là dei loro limitati e claustrofobici schemi cartesiani ci sia altro”.
Da tempo immemorabile la medicina non cartesiana, praticata da curandere e da sciamani in tribù latino-americane o africane riesce ad indurre stati di alterazioni della coscienza con modalità disparate, a partire da esperienze tradizionali tramandate ritualmente: secondo le loro testimonianze, a parte pochi casi di insuccesso, sembra che l’uso controllato di sostanze psichedeliche sia relativamente sicuro. Per questo al McLeans Hospital di Boston si stanno attualmente studiando i membri della Native American Church, che usano da sempre il peyote nei loro riti religiosi osservando le conseguenze della assunzione di droga su tempi lunghi.
Grazie a studi recenti eseguiti in maniera controllata dal farmacologo Bryan Roth, si è compreso il meccanismo di azione della molecola dell’LSD: questa si lega al recettore della serotonina e il suo effetto duraturo dipende dal fatto che la natura di questo legame protegge la molecola da eventuali degradazioni. Già dal 1915 studi eseguiti da Robin Carhart-Harris e David Nutt riuscirono a mettere in evidenza cosa succede nel cervello umano sotto l’effetto di droghe: si formano nuove connessioni nervose che spiegano gli effetti allucinatori provocati dalla loro assunzione, si modificano o si aboliscono le funzioni di coordinamento e controllo tra diverse zone cerebrali, si determina un “cervello entropico”, cioè una mente dove a comandare è una momentanea entropia, il caos. Da questa situazione, documentata dai dati di imaging sui cervelli trattati, il paziente può ricostruire una nuova personalità, modificando radicalmente la percezione del sé e della vita.
Analoghe formazioni di nuove sinapsi e attivazione di nuovi circuiti sono state ottenute già da 2016 trattando con sostanze stupefacenti organoidi formati da cellule nervose coltivate in vitro, e si è visto che viene alterato anche il funzionamento di circa un migliaio di proteine. Questi dati sperimentali permettono di comprendere il significato delle crisi mistiche e di integrazione totale uomo-natura, permettono di indagare da nuovi punti di vista il funzionamento della coscienza umana, e di intervenire su situazioni patologiche con somministrazioni controllate di farmaci-droghe. Attualmente si sta infatti sperimentando l’attività di diverse sostanze per curare gli shock post traumatici dei reduci di guerra ed alcune patologie psichiatriche. Inoltre, sono state recentemente effettuate somministrazioni per la terapia della cefalea a grappolo, sempre fortemente invalidante: a volte basta una sola somministrazione per ottenere effetti anche a lungo termine.
Ovviamente il rischio delle terapie fai-da-te dovuto all’assunzione incontrollata di ketamina, di LSD o di ecstasy è sempre presente, in quanto possono verificarsi danni permanenti e incontrollabili sulla struttura cerebrale. La legislazione che non consente la vendita e l’uso personale di droghe psichedeliche è ancora molto restrittiva, ma si prevede che la ricerca scientifica controllata possa invece poterne disporre e ottenere importanti risultati sia sul loro uso terapeutico sia sullo sviluppo di fondamentali conoscenze sulla coscienza umana e sulle capacità della mente.
In questo senso, l’autrice appare favorevole all’uso controllato di sostanze psichedeliche per terapie sia fisiche che psicologiche, sebbene enfatizzi la necessità di farlo sotto controllo di psicologi e psichiatri. La documentazione dei risultati recenti è ricca ed efficace, e rappresenta un esplicito invito alla apertura di nuove sperimentazioni e alla loro interpretazione, per comprendere qualcosa di più sulla coscienza e sul funzionamento del cervello umano.