Di pianeti extrasolari scoperti e osservati, per lo più indirettamente, se ne contano ormai a migliaia. Circa 4000 per la precisione, ma tutti già evoluti: significa che non vi è traccia nel circondario del processo di formazione che li ha generati. Ieri, però, un articolo pubblicato su The Astrophysical Journal Letters ha riportato la prima rilevazione di un sistema planetario in cui due protopianeti emergono dal disco di polveri circumstellari che li ha generati. Le osservazioni, condotte con i telescopi dell’interferometro Alma, hanno anche mostrato che attorno a uno dei due è presente un piccolo disco di polveri che potrebbe dare origine a satelliti di dimensioni simili alla Luna. Ben tre.
L’unione fa la forza
Non era la prima volta che gli astronomi si interessavano a questo sistema. La stella, una nana arancione chiamata Pds 70 e situata a 370 anni luce di distanza dalla Terra nella costellazione del Centauro, era stata osservata in precedenza a lunghezze d’onda ottiche e infrarosse con il Very Large Telescope in Cile, che aveva rivelato tracce di idrogeno gassoso associato a sistemi planetari in formazione. Un primo follow-up osservativo con Alma, poi, ne aveva confermato la presenza e aveva intravisto anche un disco di polveri attorno a uno dei questi.
Grazie alle nuove osservazioni ad alta risoluzione con lo stesso strumento, il sistema appare per la prima volta chiaro in ogni sua parte agli occhi degli astronomi: attorno a Pds 70, due pianeti hanno “ripulito” la zona anulare in cui orbitano, raccogliendo le polveri circumstellari. Il primo, già noto come Pds 70b, è un gigante gassoso con una massa otto volte quella di Giove, e – grazie a una nuova tecnica d’osservazione messa in atto recentemente da Hubble – era stato il primo protopianeta fotografato direttamente. La sua superficie raggiunge temperature dell’ordine di mille gradi centigradi, rendendolo molto più caldo di qualsiasi pianeta del Sistema solare. L’altro, Pds 70c, è simile ma con una massa ancora maggiore, circa dieci volte quella di Giove, ed è circondato da un disco di polveri indipendente, ora finalmente distinto con i nuovi dati di Alma.
Satelliti in formazione
“Il nostro lavoro mostra una chiara identificazione di un disco in cui potrebbero formarsi dei satelliti”, dice Myriam Benisty, ricercatrice dell’Università di Grenoble, in Francia, e dell’Università del Cile, prima autrice dello studio. “Le nostre osservazioni con Alma sono state ottenute con una risoluzione così fine che abbiamo potuto identificare chiaramente che il disco è associato al pianeta e siamo in grado di definirne, per la prima volta, le dimensioni”. Sarebbe esteso quanto la distanza Terra-Sole, dunque, l’anello di polveri che circonda Pds 70c, e conterrebbe abbastanza materiale da agglomerare tre lune grandi quanto il nostro satellite.
“Queste nuove osservazioni sono anche estremamente importanti per dimostrare alcune teorie sulla formazione dei pianeti che non potevano essere verificate prima d’ora”, spiega Jaehan Bae, ricercatore dell’Earth and Planets Laboratory del Carnegie Institution for Science (Usa) e tra gli autori dello studio.
I pianeti si formano nei dischi pieni di polvere che circondano le stelle giovani, e ne scavano cavità quando, per crescere, raccolgono materiale da esso. In questo processo, un pianeta può acquisire un proprio disco circumplanetario, che contribuisce alla crescita del pianeta regolando la quantità di materiale che vi cade sopra. Inoltre, il gas e la polvere nel disco circumplanetario possono unirsi in corpi progressivamente più grandi attraverso molteplici collisioni, portando infine alla formazione di satelliti.
Dal momento che finora non c’era stata alcuna “ecografia” diretta che riprendesse queste prime fasi di formazione, la conoscenza degli astronomi si è basata sulla formulazione di teorie non completamente confermate dai dati e, pertanto, non è ancora chiaro come avvengano, in dettaglio, questi processi. “In breve, non è ancora chiaro quando, dove e come si formano i pianeti e le lune”, conclude Stefano Facchini, borsista dell’Eso, altro protagonista nella ricerca.
Riferimenti: The Astrophysical Journal Letters