Amati o odiati: i lupi destano emozioni contrastanti. Quando ricompaiono in aree dove si erano estinti, si generano conflitti sociali che rendono difficili le azioni a tutela della specie. Per questo è nato il progetto Wolf Alps, finanziato dall’Unione Europea con il programma LIFE per promuovere la conservazione di questo predatore su tutto l’arco alpino italiano e sloveno. Obiettivo ambizioso, ma raggiunto: Wolf Alps ha vinto il primo premio nei LIFE awards per la categoria “natura”, consegnato a Bruselles durante la settimana verde dell’Unione Europea. Ma cosa ha fatto di speciale Wolf Alps? Ce lo racconta Francesca Marucco, project manager e ideatrice del progetto.
Dottoressa Marrucco, in che modo è innovativo il progetto Wolf Alps?
Per la prima volta in Italia e in Europa è stata creata una rete per il monitoraggio e la conservazione del lupo, superando la frammentazione di competenze e risolvendo nodi cruciali per la coesistenza uomo-lupo. Abbiamo messo insieme 12 partner e 45 supporter, in tutto 70 enti distribuiti sull’intero arco alpino. Con la partecipazione di amministratori, ricercatori, cacciatori, allevatori, volontari, guardiaparco, giornalisti. Abbiamo creato una rete diffusa di persone formate e coordinate che lavorano con stessi obiettivi e modalità di realizzazione. È stato un grande successo. Wolf Alps può essere un modello anche per la conservazione di altre specie.
Quali problemi avete affrontato per la conservazione del lupo?
Il bracconaggio rimane una delle maggiori cause di mortalità per questi animali. Per questo abbiamo lavorato molto per l’adozione di sistemi di prevenzione degli attacchi al bestiame, soprattutto nelle zone dove il lupo è appena tornato. La frammentazione amministrativa del territorio italiano non aiuta, ma il coordinamento ci ha permesso di superarla. E poi ci sono state attività di comunicazione a 360 gradi, perché la coesistenza si basa sulla tolleranza.
Che ruolo ha avuto la comunicazione?
Per ogni partner di progetto è stata formata una squadra di 12 comunicatori. L’obiettivo era comunicare i dati scientifici provenienti dal monitoraggio del lupo in modo trasparente. Sono stati organizzati incontri con i cittadini oltre che con allevatori e cacciatori. Abbiamo organizzato un ufficio stampa che monitora e ribatte alle fake news e anche workshop rivolti ai giornalisti. Tantissime sono state le iniziative per il grande pubblico, tra cui una mostra itinerante realizzata dal MUSE (Museo tridentino di scienze naturali), uno spettacolo teatrale, concorsi fotografici. Nelle scuole, alcuni insegnati sono stati formati come ambassador, per mettere a disposizione dei colleghi knowhow e kitdidattici sul lupo e la sua conservazione.
Come avete fatto a coinvolgere anche gli allevatori, che in genere non vedono di buon occhio questi predatori?
Abbiamo puntato sugli incontri diretti, studiando a tavolino come risolvere le diverse questioni. Per esempio, gli allevatori che vivono nelle zone in cui il lupo è arrivato da più tempo hanno potuto raccontare la loro esperienza a chi si trova ad affrontare il predatore per la prima volta. Abbiamo anche fornito supporto tecnico per adottare le soluzioni migliori nei diversi contesti. Infine, è stato creato un marchio, “Terre di lupi”, che promuove gli allevatori che adottano i sistemi di prevenzione, realizzando prodotti di qualità anche nelle condizioni più difficili, per la presenza del lupo.
Avendo lavorato sull’intero arco alpino, ci può dire come è la situazione del lupo e della convivenza con gli esseri umani?
Sulle Alpi Occidentali la popolazione è in aumento e si espande verso i settori centro-orientali dell’arco alpino. E’ una buona notizia ma purtroppo quando il lupo ritorna in una zona in cui è stato assente per anni si ripropone anche il problema della convivenza. All’inizio sembra tutto impossibile, ma poi lavorandoci si trovano sempre delle soluzioni. L’esperienza maturata in zone dove ormai lavoriamo da vent’anni dimostra che tanti conflitti sono risolvibili, la prevenzione è attuabile un po’ dappertutto. Nel nostro caso, la grande scala del progetto ha favorito il trasferimento di buone pratiche dalle zone in cui la convivenza si è realizzata ad aree come il Veneto, la Lombardia, il Friuli, e le aree del Piemonte di più recente espansione della specie. Ma ci vuole tempo. Bisogna convincere gli allevatori a cambiare, a utilizzare mezzi di prevenzione. Un processo non è mai immediato.
Il progetto LIFE Wolf Alps si è concluso nel 2018. Ora che farete?
Manteniamo il coordinamento e lo svolgimento delle azioni, anche se a regime ridotto, perché i finanziamenti sono minori. Ma abbiamo presentato un nuovo progetto LIFE, il “Wolf Alps EU” perché si estende al di là dell’arco alpino italiano e coinvolge la Francia, la Svizzera, l’Austria e la Slovenia. Tra qualche mese sapremo se potremo realizzarlo.
Per maggiori informazioni: www.lifewolfalps.eu.