Il microbioma, quell’insieme di miliardi di batteri che abita nel nostro intestino, si riconferma ancora una volta fondamentale per la nostra salute. È già noto, infatti, che le sue alterazioni potrebbero influenzare l’insorgenza di alcune malattie, quali l’obesità, le allergie e le malattie autoimmuni. E ora, secondo uno studio della New York University School of Medicine appena pubblicato sulle pagine di Annals of Rheumatic Diseases, un’alterazione del microbioma intestinale potrebbe essere fortemente associata anche al lupus eritematoso sistemico (Les), una malattia cronica autoimmune che colpisce le articolazioni, la pelle e i reni.
Il lupus eritematoso sistemico
Il lupus eritematoso sistemico (Les), o più semplicemente lupus, è una malattia cronica autoimmune che colpisce circa 5 milioni di persone in tutto il mondo, 600mila in Italia secondo le stime. Questa patologia, causata da una reazione anomala del sistema immunitario verso il proprio corpo – dalla pelle ai reni passando per le articolazioni, il sangue e il tessuto connettivo – è molto più diffusa tra le donne rispetto agli uomini. Tuttavia, ancora oggi le cause della malattia non sono conosciute (anche se si ipotizza che i fattori genetici siano in parte responsabili) e non esistono terapie risolutive. Per questo motivo è di fondamentale importanza la diagnosi precoce e il trattamento tempestivo dei sintomi per riuscire a tenere sotto controllo la patologia.
Il batterio intestinale colpevole
Nel nuovo studio, il team di ricercatori ha coinvolto 61 donne con una diagnosi di Les e altre 17 in buona salute (gruppo di controllo). Dalle analisi dei campioni del sangue e delle feci delle partecipanti, i ricercatori hanno notato che le pazienti affette dal lupus presentavano livelli di una specie di batterio intestinale, il Ruminococcus gnavus, maggiori di circa 5 volte rispetto al gruppo di controllo. Tra le donne affette da lupus, inoltre, le riacutizzazioni dei sintomi – che possono variare dall’eruzione cutanea, ai dolori articolari e alle disfunzioni renali (e nei casi più gravi portare alla dialisi) – erano strettamente associate all’aumento nell’intestino dei livelli di R. gnavus e alla presenza nei campioni di sangue di anticorpi specifici che attaccano questi batteri.
“Lo studio suggerisce che in alcune pazienti un microbioma alterato può causare il lupus e le riacutizzazioni dei sintomi di questa malattia”, ha spiegato l’autore della ricerca Gregg Silverman. “Inoltre, i nostri risultati indicano la fuoriuscita di questi batteri dall’intestino come possibile attivazione del sistema immunitario e suggeriscono quindi che l’ambiente interno dell’intestino possa svolgere un ruolo molto critico nelle riacutizzazioni dei sintomi, più della genetica”. Gli anticorpi contro R. gnavus – continua l’esperto – provoca un “continuo e implacabile” attacco immunitario agli organi coinvolti nelle riacutizzazioni.
Nuovi possibili trattamenti
Sebbene servirà ancora molto lavoro per poter confermare i risultati della ricerca e capire se questi batteri possano contribuire o meno a scatenare il lupus e le riacutizzazioni della malattia, lo studio potrebbe avere importanti implicazioni e aprire la strada allo sviluppo di nuove future terapie. Come precisano i ricercatori, infatti, si potrebbe riuscire a effettuare una diagnosi nei primissimi stadi della patologia, attraverso semplici esami del sangue in grado di rilevare gli anticorpi nel sangue. Inoltre, futuri trattamenti per la gestione della malattia potrebbero includere l’utilizzo di probiotici, di specifici regimi dietetici e del trapianto fecale, in grado di impedire l’aumento dei livelli di R. gnavus nell’intestino. Un’ultima alternativa, ha precisato Silverman, potrebbe essere quella di favorire la crescita di Bacteroides uniformis, una specie di batterio che si ipotizza capace di ostacolare la proliferazione di R. gnavus.
Riferimenti: Annals of Rheumatic Diseases