È nascosto nella creta il segreto dell’origine della vita sulla Terra. Non è un creazionista a parlare ma Enzo Gallori, genetista al Dipartimento di biologia animale e genetica all’Università di Firenze, che nei giorni scorsi ha presentato gli ultimi risultati delle sue ricerche al Centro internazionale di fisica teorica “Abdus Salam” di Trieste, durante la VII Conferenza sull’evoluzione chimica e l’origine della vita. La sua idea è che sia stato un substrato argilloso a permettere – forse più di quattro miliardi di anni fa – che un gruppo di amminoacidi sparsi nell’acqua iniziasse quel processo di organizzazione e replicazione che ancora oggi è alla base della vita. L’idea su cui lavora Gallori ha radici lontane. Negli anni Cinquanta, infatti, il biofisico inglese John Desmond Bernal, durante i suoi studi sulla struttura dell’acqua, aveva avanzato l’ipotesi della “surface-mediated origin of life”, secondo la quale la vita sulla Terra avrebbe avuto inizio grazie all’aiuto di una superficie a cui legarsi. E secondo lo studioso il materiale migliore ipotizzabile erano proprio le argille. “Le loro caratteristiche chimico-fisiche sono assolutamente favorevoli”, spiega Gallori. “La loro superficie è chimicamente attiva, quindi può trattenere l’acqua e in questo modo facilitare le reazioni chimiche. Inoltre può assorbire grandi quantità di energia”. Un passo avanti decisivo sulla strada indicata da Bernal fu compiuto nei primi anni Novanta. Allora, infatti, si scoprì che il Dna, la molecola informazionale della vita, se associato a particelle argillose non si degrada, neanche se esposto ai raggi ultravioletti. Sulla Terra primordiale, quindi, il legame con l’argilla avrebbe permesso all’informazione genetica di trovare un luogo di aggregazione dove poter esprimere le sue potenzialità biologiche di replicazione ed evoluzione. Cosa, questa, che non sarebbe potuta succedere casualmente tra i milioni di particelle presenti nell’acqua.”Oggi l’ipotesi più probabile è quella dell’‘RnaWorld’che la vita agli esordi fosse basata sull’Rna e che il Dna si sia formato solo successivamente”, continua Gallori. “Noi stiamo proprio cercando di dimostrare che le stesse proprietà volgono anche per l’Rna”. I primi esperimenti sono stati fatti con alcuni virus a Rna responsabili di malattie delle piante: una volta assorbiti dall’argilla hanno mantenute intatte le loro capacità. Questo potrebbe significare che il legame con l’argilla ha protetto le prime molecole di Rna dalle terribili condizioni ambientali presenti allora sulla Terra, permettendogli di interagire e sviluppare le proprie capacità.Le cose si complicano quando si cerca di capire come queste prime cellule abbiano fatto a sopravvivere man mano che nell’acqua primordiale diminuivano le sostanze nutritive. “Gli studi del nostro gruppo di ricerca si muovono anche in questa direzione”, racconta Gallori. “Per codificare le sostanze nutritive necessarie, queste cellule primitive hanno dovuto aumentare il numero dei geni, rendendo più complesso il loro genoma. Ma non siamo ancora in grado di dire se uno stesso gene è diventato in grado di svolgere più attività, o se i geni si sono duplicati, permettendo alla loro ‘copia’ di acquisire nuove capacità”. Senza dimenticare che tutto potrebbe essere successo sempre grazie all’ospitalità dell’argilla.