“Dai una spallata al tuo dolore”, questo è lo slogan della Giornata Nazionale del Mal di Testa 2018, che ricorre sabato 19 maggio, in tutta Italia. Questa manifestazione è dedicata a tutti gli italiani – e sono ben 26 milioni – che soffrono di una forma di cefalea: da quella tensiva, che può colpire la nuca o la parte cervico-frontale, all’emicrania, una malattia neurologica spesso molto debilitante che si presenta con dolore da un solo lato del capo; fino a forme secondarie, cioè che dipendono da altre patologie.
Nonostante l’incidenza molto elevata, questi disturbi sono spesso sottovalutati: per esempio, un’ampia fetta di pazienti con emicrania (il 40%) non ha una diagnosi. Il primo passo è quello di conoscere da quale tipo di cefalea si è affetti: per farlo è necessario rivolgersi ad un neurologo o a un altro specialista all’interno di un Centro italiano specializzato nella cura delle cefalee. La chiave è quella di non sottovalutare il problema, anche per evitare, se si tratta di un disturbo episodico, che diventi cronico. Non è un caso che l’Organizzazione Mondiale della Sanità inserisce l’emicrania fra le prime 10 malattie disabilitanti – e precisamente al sesto posto.
Per far sapere a tutti cosa fare quando il mal di testa diventa un compagno ingombrante, durante la Giornata nazionale 2018, diverse associazioni promuovono colloqui gratuiti in tutta Italia, da Nord a Sud, per aprire il dialogo fra medico e paziente. Durante la manifestazione, le associazioni Sin, Anircef e Sisc sono in prima linea nel fornire informazioni a tutti, dato che il mal di testa può colpire in maniera significativa ad ogni età (anche i bambini e i ragazzi, una categoria spesso sottovalutata). Dalla diagnostica all’epidemiologia, fino alle reali possibilità di cura: questi sono alcuni argomenti che verranno trattati oggi, 19 maggio, e che spesso i pazienti non conoscono, rassegnandosi a vivere in una condizione che penalizza fortemente la loro qualità di vita.
Il mal di testa, o cefalea, è una condizione molto frequente e può dipendere da cause diverse. Talvolta è il sintomo di altre malattie sottostanti, le cosiddette cefalee secondarie, come ad esempio l’ipertensione arteriosa, la sinusite, diverse patologie endocraniche; talvolta, invece, è un disturbo a sé stante, in questo caso viene chiamata cefalea primaria, che non ha altre cause evidenziabili da comuni metodiche di indagine come la TAC o la RMN, ma si manifesta esclusivamente con il sintomo del dolore. Le cefalee primarie sono molto frequenti nella popolazione generale: la cefalea di tipo tensivo (CdTT), ad esempio, caratterizzata da dolore nucale o cervico-frontale gravativo, ha una prevalenza, nel periodo di 1 anno, di circa il 30% della popolazione globale, mentre l’emicrania, un tipo di cefalea primaria i cui attacchi coinvolgono in genere un unico lato del capo, accompagnati spesso da disturbi visivi, nausea e vomito, interessa il 10-20% della popolazione generale (nel 70% dei casi le donne).
Quando la frequenza supera i 4 giorni al mese sono necessarie sia una terapia preventiva sia una di attacco per evitare la cronicizzazione e l’abuso di farmaci. Secondo i criteri diagnostici della Società Internazionale delle Cefalee, infatti, la diagnosi di emicrania cronica viene formulata nel caso in cui la cefalea sia presente da almeno 3 mesi, con frequenza di minimo 15 giorni al mese, di cui almeno 8 caratterizzati da sintomi tipici dell’emicrania.
Per combattere l’emicrania, gli esperti sottolineano che è imminente l’immissione sul mercato di nuove molecole, anticorpi monoclonali che hanno l’obiettivo di bloccare l’attività della proteina CGRP, una piccola sostanza, liberata dal nervo trigemino, fra i principali responsabili degli attacchi di emicrania. “I risultati dei primi studi sperimentali sembrano essere molto promettenti – sottolinea Fabio Freudiani, presidente Anircef (Associazione Neurologica Italiana per la Ricerca sulle Cefalee) – se è vero che 1 paziente su 4 arriva a non avere più attacchi di emicrania anche per un mese intero, partendo da una condizione di attacchi molto frequenti, anche 2 o 3 a settimana. Oltretutto, proprio grazie al loro meccanismo molto specifico, gli effetti collaterali sono praticamente irrilevanti”.