Manuel Bortuzzo nel corso di Che tempo che fa ha annunciato che la sua lesione spinale, come racconta anche nel suo libro Rinascere, non è completa. “Una notizia pazzesca”, a lungo tenuta per sé, come ha commentato il nuotatore, confermando la presenza dopo il colpo ricevuto lo scorso febbraio di un filamento. Di qualcosa – presumibilmente a livello anatomico – che potrebbe aprire le porte a un recupero di funzione, impensabile fino a qualche anno fa.
Lesioni complete e incomplete
Solo negli ultimi anni, infatti, è cominciato a diventare chiaro che si potrebbe fare qualcosa per favorire le ri-connessioni tra le zone a monte e a valle delle lesioni che impediscono la comunicazione nervosa e il movimento (sebbene la perdita di movimento sia solo una delle possibili conseguenze di una lesione spinale). Ma non in tutti i casi le comunicazioni sono del tutto interrotte, e la definizione stessa di completa e incompleta è complessa, spiega a Wired.it Marco Molinari, a capo dell’unità di Neuroriabilitazione e centro spinale della Fondazione Santa Lucia Irccs di Roma che ha avuto in cura il nuotatore. “Quando si parla di lesioni la classificazione di completa o incompleta può essere fatta secondo diversi criteri, quello più accettato è quello effettuato sulla base della valutazione clinica, che mira a capire se esiste una connessione sensoriale e motoria tra il cervello e le zone al di sotto della lesione”. E in genere con il termine incompleta si indica il mantenimento di qualche funzione, sensoriale e motoria a valle dell’area colpita, a differenza di quelle complete.
La scala Asia per la valutazione delle lesioni
Ma il concetto di completezza, anche da punto di vista clinico, che è quello più determinante per comprendere lo stato e l’evoluzione di una lesione, è per così dire sfumato può avere significati diversi: “Oltre a basarsi su una valutazione personale del medico, anche le e scale che tradizionalmente vengono utilizzate, come quella dell’American Spinal Injury Association, Asia, hanno dei limiti metodologici e hanno un limitato valore prognostico”, aggiunge Michele Spinelli, direttore dell’Unità spinale unipolare dell’Ospedale Niguarda di Milano. Nella scala Asia, per esempio, lesioni di grado B (su una scala che va, per ordine di gravità decrescente, da A a E) sono quelle cosiddette incomplete, in cui non sono presenti risposte motorie ma ci sono risposte sensitive: “Questo non implica necessariamente che incompleto posso tradursi in una ripresa delle capacità di movimento, né che laddove sia presente una risposta motoria minima questa sia funzionale alla ripresa del movimento”.
Quello che Spinelli sottolinea è che la valutazione di completo e incompleto di per sé non si traduce automaticamente in una prognosi certa. Servono cautela e tempo, necessario per seguire i pazienti e osservare come cambia la valutazione clinica della lesione. “Questo a maggior ragione considerando l’estrema variabilità delle lesioni spinali: non ci sono due casi uguali, e non possiamo pertanto generalizzare su casistiche completamente diverse tra loro”.
Oltre a quella clinica però ne possono esistere altre di classificazioni delle lesioni. Si parla così per esempio di completezza fisiologica o anatomica/morfologica. Nel primo caso, riprende Molinari quello che si fa è sostanzialmente osservare il passaggio dello stimolo elettrico o meno attraverso la lesione: “Per esempio con dei potenziali motori stimolati a livello della corteccia cerebrale e registrando l’attività corrispondente a livello muscolare, o stimolando perifericamente i la cute e registrando la presenza di un potenziale a livello della corteccia”. Di fatto questo tipo di analisi cercano di capire se c’è comunicazione tra cervello e nervi periferici. Anche se, aggiunge Spinelli, questo tipo di esami sono per così dire indicativi e in alcuni casi non danno grosse informazioni, soprattutto per lesioni spinali più gravi, come Asia A o B.
Dal punto di vista anatomico/morfologico invece si cerca di capire quanto l’anatomia sia stata mantenuta o meno. “L’analogia più ricorrente è quella con un filo elettrico: internamente abbiamo i fili che trasportano la corrente, fuori la guaina di plastica che li ricopre: si può recidere con delle forbici il filo, e in tal caso la lesione è completa, e sostanzialmente irrecuperabile – va avanti l’esperto – in altri possono scollegarsi i fili internamente ma la struttura esterna rimane”. Lesioni complete cliniche possono eventualmente così essere incomplete dal punto di vista anatomico e fisiologico. Anche dall’Associazione dei neurochirurghi americani ricordano come lesioni complete del midollo spinale raramente corrispondono a dei tagli dal punto di vista anatomico: “Più comunemente la perdita di funzione è causata da una contusione o da un ematoma a livello del midollo spinale o dalla compromissione del flusso sanguigno nella parte lesa del midollo spinale”, spiegano dall’associazione. Una condizione assimilabile a un black-out spinale, uno shock specialmente nei momenti a ridosso del trauma, specifica Spinelli.
Un approccio multimodale
Quello che recentemente è apparso chiaro, e che era impensabile fino a qualche anno fa, è che nell’uomo anche in caso di lesioni diagnosticate come complete è stato possibile osservare una ripresa del controllo muscolare, spiega Molinari. Un cambio di prospettiva rivoluzionario. “Fino a oggi la strada principe della neuroriabilitazione era quella che mirava al potenziamento delle capacità residue – ricorda l’esperto – oggi cominciamo a intravedere delle possibilità per capire come guidare le riprese funzionali favorendo le ri-connessioni tra le zone separate dalla lesione”. Soprattutto laddove, dal punto di vista anatomico, la struttura sia stata in qualche modo conservata. “L’idea comune è che non esista un unico approccio, ma una combinazione di interventi, quali quelli riabilitativi, farmacologici e di neuromodulazione”. A livello farmacologico alcune sperimentazioni si basano sull’utilizzo di fattori neurotrofici, come quelli che regolano la crescita assonale. Va in questa direzione per esempio la sperimentazione Nisci.
Le speranze dalla stimolazione elettrica
“Dal punto di vista della neuromodulazione si sta cercando invece di modificare il livello di eccitabilità delle aree del cervello e del midollo spinale, agendo nel momento giusto e in sintonia con l’arrivo di altri stimoli, come quelli che possono arrivare dalla riabilitazione e dall’intenzionalità al movimento”, riprende Molinari. Il riferimento è agli studi come quelli portati avanti da Grégoire Courtine del Politecnico Federale di Losanna (Epfl) che lo scorso anno presentava risultati accolti con grande entusiasmo, sebbene con la dovuta cautela, dagli addetti ai lavori. Courtine e colleghi avevano osservato che stimolando elettricamente, in maniera mirata, il midollo spinale con impianti wireless alcuni pazienti con lesioni gravi del midollo spinale riuscivano a camminare, dopo riabilitazione e con supporto. La scorsa primavera era stato lo stesso Courtine a ipotizzare la possibile adozione della tecnica anche per il caso di Manuel Bortuzzo, annunciando al tempo stesso per il prossimo anno l’avvio di una sperimentazione con la stessa tecnica su pazienti con lesioni spinali recenti.
Via: Wired.it
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