La nave cementiera Margaret, affondata nella notte tra il 2 e il 3 dicembre scorso nel porto di La Spezia, è ancora incagliata, semisommersa, contro gli scogli della diga foranea. Ma il disastro ecologico, che avrebbero potuto provocare i 90 mila litri di nafta contenuti nei serbatoi, sembra al momento sventato. L’urto, infatti, ha provocato una piccola fuoriuscita di gasolio leggero che è stata tempestivamente risucchiata dai mezzi anti-inquinamento. Pur con le difficoltà dovute alle condizioni climatiche avverse, la ricognizione del cargo effettuata dai sommozzatori ha confermato che il carburante pesante non è una bomba ecologica a rischio di esplosione. La situazione è sotto controllo, quindi. Ma in attesa delle operazioni di recupero, per le quali ci vorranno ancora tre o quattro mesi e una spesa stimata intorno ai due milioni di euro (rimborsati dall’assicurazione della nave), è lecito chiedersi come sia potuto accadere un simile evento, che avrebbe potuto trasformarsi in un’emergenza ambientale.
Si è trattato di un incidente o piuttosto di una catastrofe evitata, ma annunciata? Margaret, su cui sventola bandiera georgiana, aveva grosse limitazioni alla navigazione. Era una nave vecchia, costruita 30 anni fa. Già nel 2003 le era stata ritirata la certificazione Rina (Registro italiano navale) perché non rispettava gli standard di sicurezza, ma era riuscita a ottenerne un’altra, prima russa, poi ucraina, grazie ai minori requisiti richiesti. L’ultimo provvedimento amministrativo in acque italiane per insufficienti misure in dotazione risale ad appena un mese e mezzo fa. Paolo Varrella, presidente del circolo di La Spezia di Legambiente, ricostruisce così questa storia rocambolesca: “A fine ottobre la Capitaneria di porto di Livorno ha fermato la nave imponendo di fare dei lavori di manutenzione, pena la mancata autorizzazione a salpare. Finiti i lavori, è partita diretta a Genova con un carico di cemento. Qui, i controlli delle autorità marittime hanno aggiunto ulteriori prescrizioni: l’obbligo di non allontanarsi a più di 20 miglia dalla costa e di riparare immediatamente in caso di onde alte più di tre metri e mezzo”.
La notte dell’incidente le onde superavano i cinque metri e il vento, forza otto, soffiava a 80 km/h. Le condizioni meteorologiche alla partenza dal porto genovese erano “maneggevoli”, ma le previsioni avevano annunciato l’arrivo della perturbazione. “Intorno alle due del mattino, la nave ha chiesto di riparare nel porto di La Spezia e la Capitaneria le ha comunicato il punto e le modalità per gettare l’ancora”, continua Varrella. “Ma non c’è stato niente da fare. Nonostante l’assistenza di un rimorchiatore di servizio, inviato all’atto della richiesta di soccorso, nella fase di attracco la situazione è diventata ingovernabile, poi la nave si schiantata contro la scogliera”. Sulla dinamica dell’affondamento sta ora indagando la Procura della Repubblica. Da quanto è emerso finora, si sarebbe trattato di un errore dell’equipaggio: il comandante ha gettato una sola ancora e ben oltre il punto assegnato.Il caso risolleva l’annoso problema delle carrette dei mari, causa di una lunga lista di disastri ambientali. “Le navi che non garantiscono i livelli di sicurezza sono mine vaganti ed è tempo che si prendano misure più restrittive”, denuncia Legambiente. “La diga foranea dove è avvenuto il naufragio si trova in un punto che ha valore naturalistico enorme, nel baricentro tra il Parco regionale di Montemarcello, il Parco di Porto Venere, le Cinque Terre, il Golfo dei Poeti è il santuario dei cetacei”.
Tutto questo per fortuna è stato preservato. È andata peggio invece ai miticoltori. Margaret, infatti, è andata a sbattere contro un vivaio dove si allevano le cozze: 600 mila euro i danni e la vendita natalizia dei frutti di mare andata in fumo.