C’è carbonio nei campioni prelevati su Marte. A quasi 10 anni dall’atterraggio sul Pianeta rosso, Curiosity ha trovato tracce chimiche che potrebbero essere usate a sostegno di almeno tre ipotesi sull’origine, tra cui quella dell’esistenza di antiche forme di vita microbica, anche se non sono una prova conclusiva e definitiva a riguardo. I ricercatori, coordinati dalla Penn State University, hanno scoperto che diversi campioni di roccia sono ricchi di questo elemento e in particolare di un suo tipo (isotopo). Si tratta del carbonio 12, che è anche il più abbondante in natura, nonché alla base delle molecole organiche e della vita per come la conosciamo.
Le nuove prove sono insolite e interessanti, anche se non conclusive: secondo gli autori, che si mantengono cauti, ci sono altri due possibili processi, che non chiamano in causa la presenza di vita, riconducibili al risultato ottenuto. La scoperta è descritta sulle pagine di Proceedings of the National Academy of Sciences.
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Molecole organiche
A cercare tracce di vita su Marte (e non solo, anche su Venere, per esempio) è sia Curiosity, arrivato il 6 agosto 2012, sia il successore Perseverance che è sul Pianeta rosso da quasi un anno. Le analisi si accumulano e ci sono già prime prove della presenza di molecole organiche, ovvero molecole che contengono uno o più atomi di carbonio, legati ad atomi di altri elementi, e che sono alla base degli organismi viventi.
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Averle scoperte, però, non implica necessariamente la presenza di vita passata su Marte, dato che le loro origini potrebbero derivare anche da altri fenomeni e meccanismi, diversi rispetto a quelli che avvengono sulla Terra.
Il carbonio 12 è la prova di vita su Marte?
Gli scienziati hanno esaminato 24 campioni di suolo marziano, raccolti nel cratere Gale, a lungo perlustrato con risultati di successo. L’analisi è avvenuta all’interno del laboratorio di Curiosity Sam (Sample Analysis at Mars), con uno dei tre strumenti che lo compongono, lo spettrometro Tls (Tunable laser spectrometer).
Dopo aver riscaldato i campioni a 850 °C, per favorire il rilascio dei gas, il sistema Tls è entrato in funzione e ha rilevato la presenza degli isotopi di carbonio. In natura il carbonio ha due isotopi stabili, il carbonio 12 e il 13, e studiarne la quantità può aiutare a capire meglio la storia di un materiale. In questo caso in alcuni siti, la concentrazione di carbonio 12 era maggiore rispetto a quella rilevata in atmosfera e in altri punti e più alta anche rispetto agli standard di riferimento relativi a materiali terrestri.
Le tre ipotesi
Se questo risultato fosse stato ottenuto con materiali sulla Terra, sarebbe stato inequivocabile e legato a processi biologici, come spiega Christopher House, che ha guidato il lavoro, dunque a vita. Su Marte, però, non si possono ancora escludere altri fenomeni. Le ipotesi sono in tutto tre.
La prima, quella biologica, prevede l’azione, in passato, di batteri sulla superficie del Pianeta rosso, che avrebbero rilasciato metano (formato da un atomo di carbonio e 4 atomi di idrogeno) in atmosfera. La luce ultravioletta avrebbe poi convertito il gas in molecole più grandi e complesse contenenti carbonio.
La seconda possibilità non richiede la presenza di microorganismi e indica un’interazione in atmosfera fra luce ultravioletta e biossido di carbonio, fenomeno alla base della formazione di molecole ricche di carbonio poi rintracciate sulla superficie marziana.
La terza ipotesi, sempre non biologica, si basa sull’idea di una connessione fra il Sistema Solare e una nube ricca di carbonio, un evento raro che sarebbe avvenuto centinaia di milioni di anni fa.
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Queste tre spiegazioni sono frutto di teorie e modelli che per ora aderiscono bene alle informazioni che possediamo, chiarisce l’autore House: per capire quale strada è più probabile abbiamo bisogno di una quantità maggiore di dati. Il risultato è importante, spiegano gli autori, anche perché può guidare il team di Perseverance a capire quali analisi condurre per affinare gli studi e confermare questa firma del carbonio. Insomma, non resta che attendere, e siamo sulla buona strada.
Via Wired