La domesticazione dei moderni bovini ha avuto inizio circa 10.500 anni fa in Iran, nel Vicino Oriente, in quell’area che si estende dalle coste orientali del Mediterraneo e della penisola arabica fino ai confini dell’attuale Iran, a partire da un piccolo gruppo di Bos primigenius.
Lo ha scoperto un team di scienziati internazionali del Centro Nazionale della Ricerca Scientifica francese, del Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi, dell’Università di Mainz in Germania e dell’University College di Londra, che hanno pubblicato il loro studio su Molecular Biology and Evolution. Il lavoro si basa sull’analisi del Dna nucleare estratto dalle ossa di mucche ritrovate in alcune siti archeologici iraniani, datati nel XI millennio a.C.
A incuriosire il team di scienziati sono state alcune piccole differenze nel materiale genetico tra queste mucche e quelle attuali. Tramite una simulazione al computer, hanno ipotizzato che queste minime differenze possano essere spiegate ammettendo che gli animali moderni discendano da un unico e piccolo branco di 80 uri.
Lo studio convalida l’ipotesi archeologica che aveva già localizzato un’area ristretta come origine delle mucche domestiche, e suggerisce con certezza un passaggio graduale dall’ammansimento di pochi esemplari, probabilmente quelli più facilmente catturabili e predisposti alla sottomissione, fino all’allevamento vero e proprio.
Marco Masseti, naturalista e archeozoologo all’Università di Firenze, da anni studia i rapporti tra l’uomo e gli altri animali nell’area del Mediterraneo centro orientale.
Rispetto alle attuali conoscenze, quali nuovi dati fornisce questo studio?
”Precedenti studi genetici su Dna mitocondriale hanno dimostrato l’origine del bestiame bovino europeo dal Vicino Oriente. Già sapevamo, dai dati archeologici e archeozoologici, che la domesticazione delle mucche era avvenuta nel XI millennio a.C. in quelle regioni, ma da questo studio emerge un’area molto più ristretta e circoscritta”.
Perché è importante lo studio della domesticazione?
“È stata una conquista determinante per lo sviluppo delle culture umane, al pari della scoperta del fuoco o della capacità di fabbricare utensili. Dal punto di vista archeologico, antropologico e sociologico la domesticazione segna il passaggio da un’economia di sfruttamento delle risorse naturali (caccia, pesca e raccolta) a un’economia produttrice. Ma ha anche plasmato gli animali e addirittura creato “nuove specie”, ossia varietà selezionate artificialmente. Le differenze più evidenti nei caratteri fisici, tra animali domestici e i loro antenati selvatici, sono la riduzione della taglia, il cambiamento del colore del manto, la quantità di grasso prodotto, e così via. Dunque la conoscenza di questo processo permette di ricostruire le forme di sussistenza e i sistemi di allevamento delle popolazioni umane, di scoprire il ruolo degli animali nell’economia e come rivoluzionò la dieta umana”.
Quanto la nostra specie ha influenzato la fauna con la domesticazione e quanto, invece, gli animali domestici hanno influenzato le attività umane?
“La domesticazione ha comportato un controllo molto pesante dell’uomo sulle specie animali, ricavandone vantaggi economici e culturali e disponendo di una riserva costante di proteine. L’uomo ha così prodotto un rinnovamento profondo degli equilibri ecologici originari, favorendo in varia misura l’estinzione di alcune specie e la graduale introduzione di altre. Tuttavia, il processo di domesticazione ha influenzato il comportamento e le abitudini umani nei confronti degli animali, che si riflette principalmente in una differente gestione degli animali domestici rispetto a quelli selvatici. Indubbiamente anche l’uomo si è adattato, basti pensare alla transumanza che obbligava i pastori a spostarsi a seguito delle greggi e delle mandrie e che ha condizionato pesantemente la loro vita”.
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