“Ascoltare un paziente può sembrare la più semplice delle tante competenze che un medico deve padroneggiare, ma in realtà è una delle più difficili, soprattutto se lo si vuole fare bene” (Danielle Ofri, Cosa dice il malato, cosa sente il medico, Il pensiero scientifico Editore, 2018, pp. 279, Euro 24.00). E ciascuno, ripensando alle personali esperienze vissute da paziente, può riconoscersi nella difficoltà di comunicare la propria situazione a qualche luminare, talvolta visibilmente indaffarato a pensare ad altro. Danielle Ofri è medico al Bellevue Hospital di New York e docente alla New York University School of Medicine. In questo interessante volume, basato sia sulla sua lunga esperienza ospedaliera sia su studi e ricerche ampiamente documentate, l’autrice prende in considerazione le tante (prevedibili o imprevedibili) difficoltà che medici e pazienti devono affrontare quando la persona che sta male si affaccia, magari per la prima volta, alla porta dell’ambulatorio. Almeno nel sistema sanitario americano i tempi a disposizione sono strettamente definiti: non più di un quarto d’ora a visita. Di conseguenza, nonostante le buone intenzioni, il principale impegno del medico è quello di risolvere il problema in fretta. I pazienti, dal loro punto di vista, vogliono sentirsi ascoltati, essere aiutati a ricordare situazioni critiche e a trovare le parole adatte a descrivere i loro sintomi e le loro sofferenze. Così, mentre il paziente si dilunga sui suoi casi personali, il medico controlla l’orologio e si preoccupa sempre meno di stabilire un rapporto efficace, di avviare una relazione umana che potrebbe fargli perdere dei minuti preziosi.
I casi raccolti dalla Ofri in questo volume ci fanno intravedere la vita di persone diverse, maschi e femmine, più o meno poveri, malati più o meno gravemente: per tutti loro la malattia – la ragione per cui sono andati dal medico – è soltanto una delle tante difficoltà da affrontare giorno per giorno, un “guaio” che rende ancora più difficile la quotidiana relazione con figli, mariti, soldi, mancanza di lavoro… Il medico non sempre è interessato ai tanti casi della loro vita, si concentra sulla possibilità di individuare malattia e terapia, e questo rappresenta l’unico campo in cui pensa di poter intervenire in modo positivo. Ma la situazione in cui entrambi vengono a trovarsi e che entrambi costruiscono è, in realtà, molto più complessa.
Nel breve tempo della visita si intrecciano differenti modalità di comunicazione verbali e non verbali, ognuna chiede di essere interpretata o almeno di essere presa in considerazione: atteggiamenti e posture , toni di voce e sguardi del paziente attivano nel medico sensazioni e risposte che condizionano lo stabilirsi di una relazione complessa, di cui gli aspetti clinici rappresentano soltanto una parte. Così lo sguardo attento e comprensivo del medico favorisce la relazione e lo porta ad accorgersi empaticamente delle difficoltà in cui viene a trovarsi il malato.
Altre volte anche il medico si lascia guidare dalle proprie emozioni e dalle proprie reazioni di disagio, che possono provocare una sorta di mancanza di rispetto nei confronti del malato, spesso sostenuta da pregiudizi inconsci. Per esempio, studi e ricerche dimostrano che pazienti obesi possono indurre sensazioni fastidio o di “superiorità” nei confronti di una loro presunta debolezza caratteriale. Altri studi mettono in evidenza pregiudizi verso pazienti di colore, o ex tossicodipendenti, o sieropositivi, o semplicemente non-compliant, cioè verso malati che non prendono le medicine assegnate. Questo rifiuto della cura mal dispone profondamente i medici, anche se non sempre dipende da ribellione o sfiducia colpevole; piuttosto può essere causato da costi insostenibili dei farmaci o da loro importanti effetti collaterali.
Il paternalismo medico rappresenta un altro ostacolo alla comunicazione: il linguaggio della medicina diventa sempre più difficile, e farlo comprendere richiede tempo e pazienza. Cosa significano per un inesperto parole come scompenso cardiaco, valvola incontinente, ecocardiografia…? Inoltre è più facile catalogare malattie o quadri clinici senza guardare alle persone che li presentano: “oggi è entrato un diabete” o “un IM” (infarto miocardico) e queste indicazioni riduttive nascondono, dietro il linguaggio di comodo, passati e futuri di angosce e di sofferenze.
Il rispetto verso il malato si insegna e si impara, spesso attraverso l’esempio e, di recente, attraverso corsi di formazione che educano gli studenti all’ascolto e alla interpretazione della relazione comunicativa. Dunque si propongono ai medici strategie che incoraggino i pazienti a raccontarsi, si insegna ad ascoltarli senza interromperli dopo i dodici secondo di rito, a fare attenzione non solo ai sintomi clinici ma ai modi di parlarne, allo scopo di capire come la malattia si sia inserita nella vita di ogni giorno, condizionandola o stravolgendola. In questi progetti di ricerca si fanno osservazioni non solo sul funzionamento delle terapie ma anche sul grado di accettazione del medico da parte dei malati, su come affrontare eventuali errori diagnostici, su come comunicare ai pazienti notizie dolorose…. Si studiano videoregistrazioni, si chiedono valutazioni positive e negative tanto ai medici quanto ai malati, si propongono test sperimentali per capire meglio cosa condiziona la comunicazione e il successo della terapia. Ci si è accorti che la comunicazione positiva può influenzare il successo delle cure mediche, ed è molto meno costoso rassicurare e guidare il malato prendendosi cura anche dei suoi sentimenti piuttosto che terapizzarlo con analisi e farmaci assai più dispendiosi. Lo strumento di analisi dell’interazione studiato dalla dottoressa Roter (in inglese RIAS) sta diventando un parametro di riferimento negli studi sulla relazione medico-paziente e le sorprese non mancano: la stessa Danielle Ofri racconta la amara delusione provata nell’osservarsi in una videoregistrazione rimanendo “inorridita” dalla propria gestualità e dal proprio comportamento.
La varietà delle situazioni presentate nel volume permette al lettore anche uno sguardo su se stesso, lo invita a una sorta di autocoscienza utile per rendersi meglio conto dei vincoli e delle esigenze burocratiche connesse a una visita medica. Alcuni suggerimenti aiutano a rendere più efficace e produttivo il tempo dell’interazione e a modulare realisticamente le proprie aspettative. Ci si può preparare all’incontro annotando in maniera schematica quello di cui si vuol parlare, per non dimenticare e per non divagare, scegliendo le cose importanti e presentandole con chiarezza. Offrendo il proprio contributo, spiega la Ofri, il paziente può assumere un ruolo più attivo nella relazione, e partecipare concretamente a migliorare una situazione delicata ma spesso insoddisfacente, superando i disagi e la sofferenza spesso dovuti soltanto a incomprensione.