Diversamente dalle meduse, non possiedono cellule urticanti, esono quindi innocue a contatto con l’epidermide, ma le noci di mare, che sempre più stanno invadendo i nostri mari, hanno un impatto negativo sull’ecosistema e sul comparto ittico. Nel Golfo di Trieste è stata segnalata per la prima volta nel 2005, ma soltanto durante l’estate 2016 si è verificata una vera e propria esplosione demografica, con presenze massicce nella Laguna di Marano e Grado, lungo la costa occidentale dell’Istria, e tutte le coste adriatiche italiane, fino ad Ancona e Pescara. La Regione Friuli Venezia Giulia incaricò ARPA FVG e OGS di studiare il fenomeno: i risultati dello studio sono ora su Journal of Sea Research. Ma la ricercerca continua. Per studiare ulteriormente questi organismi gelatinosi, appartenenti alla specie Mnemiopsis leidyi (comunemente detta comb jelly o sea walnut in inglese, da cui deriva il nome comune in italiano noce di mare), domani salpa da Trieste la nave da ricerca OGS Explora per una spedizione scientifica nell’Alto Adriatico.
“Sono animali marini planctonici carnivori, quasi trasparenti e luminescenti” spiega Paola Del Negro, direttrice della sezione di Oceanografia dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale. “Originaria delle coste atlantiche americane (Nord e Sud America), questa specie è comparsa per la prima volta in Europa nel Mar Nero all’inizio degli anni ’80, trasportata dalle navi attraverso le acque di zavorra. Ed è poi proliferata a tal punto da creare gravi danni al settore della pesca perché è un vorace predatore di zooplancton, uova e piccole larve di pesci, soprattutto di acciuga”.
Gli ctenofori in pratica alterano lo sviluppo della catena alimentare, perché sottraggono cibo a molti pesci, come acciughe e sardine, e ne predano uova e larve. “In altre parole, il principale impatto di questi organismi riguarda la loro capacità di competere per l’alimento (zooplancton) con le specie ittiche planctivore di interesse commerciale (acciughe e sardine in primis) e simultaneamente predare i primi stadi di sviluppo (uova e larve) di questi pesci, nonché le larve di molluschi bivalvi (come vongole e mitili)”.
Inoltre sono adattabili in tutti gli ambienti a qualsiasi latitudine e a diversa salinità (mare, laguna). E per di più sono organismi ermafroditi caratterizzati da un’impressionante capacità riproduttiva: un solo individuo può produrre migliaia di uova al giorno. “Caratteristiche, confermate anche da studi condotti su individui catturati nel Golfo di Trieste durante il 2016, che rendono questa specie aliena particolarmente invasiva” precisa Del Negro.
“Da non sottovalutare, infine, che questi organismi sono dannosi per alcuni sistemi di pesca peculiari delle lagune alto adriatiche (la pesca lagunare utilizza attrezzi da posta fissi), in quanto ostacolano l’operatività degli attrezzi per occlusione meccanica: essendo gelatinosi gli ctenofori si attaccano alle reti con la conseguente impossibilità di catturare le specie ittiche di interesse commerciale”. Inoltre l’ammasso di ctenofori nelle reti produce bagliori fluorescenti, a causa della fotoluminescenza emessa da questi organismi: bagliori che allontanano i pesci.
“Oltre alle ripercussioni ecologiche sulle risorse ittiche dunque, se la noce di mare dovesse continuare a proliferare in maniera così massiva, potrebbe essere compromessa la situazione di tutto il comparto ittico, dalla pesca alla molluschicoltura” avverte Del Negro. “In Mar Nero gli ctenofori hanno provocato un crollo della pesca veramente vertiginoso. In Adriatico speriamo che la loro proliferazione sia messa a freno dal loro principale predatore Beroe ovata”.
La campagna a bordo di OGS Explora, coordinata dall’oceanografa Vanessa Cardin, salpa giovedì 14 settembre (fino a domenica 17). Responsabile scientifica è la biologa marina Valentina Tirelli che potrà contare su un team internazionale formato, oltre che dai colleghi di OGS, da ricercatori sloveni e croati del National Biological Institute di Pirano e del Ruder Boskovic Institute di Rovigno.
La spedizione sarà utile per avere una più accurata fotografia del fenomeno nell’Alto Adriatico, per valutare l’attuale distribuzione di ctenofori e di zooplancton nelle acque offshore che non vengono controllate durante i monitoraggi effettuati dalle ARPA, e raccogliere informazioni sull’abbondanza e la distribuzione dello zooplancton per verificare quanto la distribuzione degli ctenofori influenzi la disponibilità di alimento per i pesci.
Riferimenti: Mnemiopsis leidyi in the northern Adriatic: here to stay?; Malej A., Tirelli V., Lučić D., Paliaga P., Vodopivec M., Goruppi A., Ancona S., Benzi M., Bettoso N., Camatti E., Ercolessi M., Ferrari C.R., Shiganova, T. (2017) , Journal of Sea Research