Sarà capitato a tutti di assaporare un cibo che viene da lontano. Ma la vostra passione per la cucina esotica non eguaglierà mai quella dell’archeobatterio Metallosphaera sedula: la sua pietanza preferita addirittura non appartiene a questo mondo. Si nutre di minerali, che non è nemmeno così insolito tra i microrganismi. Ma alle rocce nostrane preferisce di gran lunga quelle che vengono dallo spazio: il mix di minerali contenuto nei meteoriti rappresenta per M. sedula la massima prelibatezza. La scoperta, pubblicata su Scientific Reports dai ricercatori dell’università di Vienna suggerisce che un’importante fonte di nutrimento per i primi microrganismi che hanno colonizzato la Terra potrebbe essere venuta proprio dallo Spazio. E la “firma biologica” lasciata da M. sedula sul meteorite dopo il suo banchetto potrebbe aiutare gli scienziati a scoprire le potenziali tracce di microbi extraterrestri.
I batteri mangia-rocce
Metallosphaera sedula appartiene a quella classe di microrganismi dai gusti bizzarri che si nutrono di minerali. Si chiamano chemiolitotrofi e comprendono batteri e archeobatteri. Anche se la fonte di approvvigionamento è diversa, le modalità con cui ricavano energia sono simili alle nostre e avvengono tramite l’ossidazione di donatori di elettroni: la differenza è che noi estraiamo gli elettroni da molecole organiche, loro da composti inorganici, come il solfuro di idrogeno e lo ione ferro. Tra i chemiolitotrofi, molti si accontentano delle rocce terrestri, ma alcuni si sono evoluti per cibarsi dello speciale mix di minerali contenuto nei meteoriti, che sono fonte di ioni metallici ed elementi rari come il fosforo. Leptospirillum ferrooxidans e Acidithiobacillus ferrooxidans, ad esempio, riescono a ossidare il ferro contenuto nei meteoriti.
Metallosphaera sedula: uno stomaco di ferro
Ma i ricercatori volevano identificare un microrganismo con una preferenza ancora più spiccata per i meteoriti. La scelta è caduta su Metallosphaeera sedula, una specie di archeobatterio termoacidofilo (che resiste al calore e a pH acidi) ghiotto di metalli e già noto per il suo stomaco forte, in grado di ossidare la pirite contenuta nel carbone a velocità maggiori rispetto ad altri batteri termofili. M. sedula aveva addirittura già mostrato in passato una certa predisposizione per il cibo spaziale, gradendo particolarmente un pasto a base di rocce simil-marziane che gli scienziati avevano preparato simulando la composizione della regolite del Pianeta rosso.
M. sedula ha soddisfatto le aspettative anche quando i ricercatori gli hanno proposto il meteorite NorthWest Africa 1172 (NWA 1172), una roccia di 120 chili scoperta nel 2000. Si tratta di un materiale poroso e ricco di metalli in grado di sostenere l’attività metabolica e la crescita dei microbi. Nell’esperimento, due colonie batteriche simili sono state nutrite una con il meteorite e l’altra con la calcopirite, un minerale terrestre composto da rame, ferro e zolfo. Tra i due pasti, l’archeobatterio ha gradito di più il primo: lo dimostra una crescita accelerata e l’analisi microscopica e degli ioni metallici che venivano rilasciati mano a mano che M. sedula consumava la roccia.
Microscopici astronauti
Non meno importante è stata l’analisi al microscopio dell’aspetto del meteorite dopo che Metallosphaera sedula aveva terminato il suo pasto. Il microrganismo lascia una “firma biologica” caratteristica, che potrebbe aiutare i ricercatori a identificare tracce di presenze microbiche sulle rocce extraterrestri. Ma lo studio dimostra anche che i microbi terrestri sono potenzialmente in grado di colonizzare lo Spazio. Sappiamo già che alcuni riescono probabilmente a sopravvivere alle condizioni estreme del vuoto interplanetario: ora scopriamo che potrebbero anche essere in grado di procurarsi un buon pasto. “Le nostre indagini non solo confermano la capacità di M. sedula di eseguire la biotrasformazione dei minerali di meteorite – ha dichiarato Tetyana Milojevic, primo autore dello studio – ma hanno anche svelato le impronte microbiche lasciate sul materiale meteorico e forniscono il passo successivo verso la comprensione della biogeochimica del meteorite”.
Riferimenti: Scientific Reports
(Credits immagine: Tetyana Milojevic)