Creare programmi per calcolatore che simulino il comportamento di organismi viventi che interagiscono tra loro e con il mondo esterno, competono per le risorse, si riproducono ed evolvono di generazione in generazione selezionando gli esemplari più abili e pronti ad adattarsi al loro ambiente. Gli addetti ai lavori la chiamano artificial life (A-life), un filone di ricerca nato una quindicina di anni fa e che vede alleate la biologia e la computer science per studiare attraverso la simulazione al calcolatore gli aspetti fondamentali e più profondi dell’evoluzione della vita. Slogan: se vuoi comprendere come funziona la vita, costruiscila.
Per parecchio tempo gli studi sull’A-life (http://alife.santafe.edu/alife/index.html), sono stati guardati con scetticismo sia dagli esperti di informatica, che li bollavano come “eccentrici”, sia dai biologi, che ritenendosi unici depositari degli studi sui segreti della vita, ritenevano che l’evoluzione di questi organismi digitali avesse ben poco a che fare con quella degli esseri viventi reali. I fautori dell’artificial life ribattono che finora la biologia ha potuto studiare un solo esempio di vita: quella che si è sviluppata sulla Terra, basata sul ciclo del carbonio. Nonostante la meravigliosa varietà delle sue forme, la vita che conosciamo resta un caso unico e le regole della scienza dicono che non è possibile ricavare principi generali da esempi singoli. Bisogna stabilire se i principi che regolano l’esistenza dei viventi conosciuti siano davvero generali, applicabili a qualsiasi forma di vita ipotizzabile, o siano invece caratteristiche particolari che si applicano solo alla vita terrestre. L’unico modo per dirimere la faccenda è studiare altri esempi di vita. E in mancanza di vite aliene un possibile approccio di crearci forme di vita artificiali.
L’artificial life ha ottenuto una sorta di consacrazione scientifica l’anno scorso, quando Richard Lenski, biologo della Michigan State University, e Chris Adami, fisico del California Institute of Technology ed esperto di A-life, hanno firmato assieme un articolo pubblicato su Nature “Ora abbiamo un sacco di nuove strade a disposizione”, ha sottolineato Adami al New York Times in occasione della pubblicazione, “possiamo studiare l’evoluzione di 10 mila generazioni modificare un singolo parametro e ripetere l’esperimento”. Studiando organismi reali tutto ciò sarebbe impensabile. In questo modo Adami e Lenski hanno scoperto, per esempio, che l’effetto combinato di mutazioni genetiche multiple è diverso dalla somma degli effetti dovuti a mutazioni singole.
Ma non è tutto. L’artificial life può aiutare non solo a cercare le risposte sui fondamenti della vita, ma promette applicazioni assai interessanti nei settori più disparati. Per esempio, il gruppo (http://kant.irmkant.rm.cnr.it/gral.html) guidato da Domenico Parisi dell’Istituto di psicobiologia del Cnr di Roma applica i principi dell’artificial life per studiare l’evoluzione dell’impero assiro tra il 1400 e il 600 avanti Cristo. “Il quadro è quello di una popolazione che cede parte delle risorse a un’autorità centrale, lo stato, in cambio di alcuni vantaggi”, spiega Parisi, “noi osserviamo il tipo di interazioni che si stabiliscono tra individui e potere centrale, o fino a che punto la cessione delle risorse è una strategia conveniente, oppure ancora qual è l’interazione con altre popolazioni. Finora il nostro programma ha simulato assai bene l’espansione dell’impero e le mappe del territorio assiro generate dal calcolatore combaciano con quelle ricavate dagli archeologi”. Il programma potrebbe aiutare a chiarire perché l’impero è crollato: pressione delle popolazioni esterne o risorse troppo limitate per mantenerne la struttura? E una volta studiati gli Assiri, Parisi e i suoi hanno già in progetto di passare agli Etruschi e ai Romani.
Filippo Menczer, che ha lasciato l’Italia per la Iowa University, ha invece messo a punto gli Infospider (http://dollar.biz.uiowa.edu/infospiders), organismi artificiali che navigano sul web a caccia di informazioni. Questi “ragni artificiali” guadagnano l’energia necessaria alla sopravvivenza e alla riproduzione in base all’abilità dimostrata nel trovare le informazioni richieste dall’operatore. La forte spinta selettiva favorisce l’evoluzione di bravi cacciatori di notizie, perfettamente adattati a un ambiente come il web che trabocca di informazioni.
Le ricerche in A-life non riguardano solo organismi artificiali che rimangono tutto virtuali, la cui evoluzione si limita al patrimonio genetico digitale. Pablo Funes, della Brandeis University di Waltham in Massachusetts, sottolinea che gli organismi reali possiedono anche un corpo che ha un ruolo fondamentale nella loro evoluzione e questo fatto non può essere ignorato nelle simulazioni.
Così, Funes e i suoi colleghi hanno dotato le loro creature di una rudimentale struttura fisica che può evolvere di generazione in generazione. Un computer è programmato per generare a caso costruzioni fatte con i mattoncini del Lego. Un altro provvede poi a selezionare solo quelle che possono reggere nel mondo reale. Funes e il collega Jordan Pollack hanno poi raffinato il sistema richiedendo che la struttura in Lego assolvesse a una funzione precisa: un ponte di circa due metri di lunghezza. “Alcune semplici regole di evoluzione assieme alle leggi della fisica hanno ben presto ‘riscoperto’ il triangolo e la trave per ottenere strutture solide”, ha dichiarato Pollack in un’intervista a New Scientist. Sostituendo il Lego con elementi che possono scivolare tra loro e aggiungendo articolazioni e motori, Pollack e Funes progettano ora di studiare popolazioni di robot la cui forma evolve sì all’interno di un computer, ma può funzionare anche nel mondo reale.