In fuga dalla siccità, da una terra inaridita o da un lago che si prosciuga, attraversano il deserto e spesso anche il mare per raggiungere l’Europa, passando dall’Italia, pontile del Mediterraneo: sono i migranti del clima, tra le prime vittime del riscaldamento del pianeta. Infatti, non ci sono solo i conflitti, le persecuzioni politiche e le difficoltà economiche alla radice delle migrazioni ma anche complesse relazioni tra cambiamenti climatici, precipitazioni e produzione agricole. Un intrico che due ricercatori italiani hanno provato a dipanare utilizzando un metodo innovativo. Per far luce sul rapporto tra cambiamenti climatici e flussi migratori, il fisico del clima Antonello Pasini e Stefano Amendola hanno utilizzato una rete neurale. Lo studio è pubblicato su Environmental Research Communications.
Temperature più alte, raccolti più scarsi
Parte di chi arriva in Italia dal Sahel, fascia a sud del Sahara, lascia terre colpite dagli effetti del riscaldamento globale: desertificazione e siccità. Pasini e Amendola hanno analizzato i dati disponibili sui flussi migratori diretti in Italia e li hanno incrociati con gli effetti dei cambiamenti climatici sui raccolti agricoli della fascia del Sahel: Senegal, Gambia, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Ciad, Sudan ed Eritrea.
“Il primo motivo che fa muovere le persone, racconta Pasini, “è l’aumento delle temperature medie annue”. Non solo perché fa troppo caldo per l’essere umano, ma soprattutto perché il raccolto è compromesso e manca il cibo. L’aridità aumenta negli anni, aggrava la desertificazione e innesca un circolo vizioso, come spiega il fisico: “Campi sempre meno fertili vengono abbandonati, rinsecchiscono e non fanno più argine all’avanzata del deserto del Sahel”. Ma conta anche l’impatto di eventi estremi: “Pensiamo, per esempio, a un’ondata di calore che porta le temperature sopra i 30° gradi per molte ore del giorno, mentre le piante stanno crescendo. L’impatto sulla produzione può essere drammatico. Questi eventi estremi hanno un effetto immediato sui flussi migratori”.
Riconoscere i migranti del clima
Per isolare i fattori climatici dalle altre cause di migrazione, come crisi economiche e guerre, i ricercatori hanno studiato il periodo dal 1995 al 2009, precedente alle primavere arabe e ai conflitti che ne sono seguiti. “In quel periodo”, ricorda Pasini, “i migranti che venivano in Italia dal Sahel erano molti di meno: da 100 a qualche migliaio, a seconda delle dimensioni del paese”.
Oltre ad analizzare i dati disponibili per quel periodo, i ricercatori hanno “istruito” una rete neurale su tutti gli elementi che possono essere causa di migrazione climatica: produzione agricola, precipitazioni, medie della temperatura. La rete neurale ha ipotizzato effetti migratori che combaciano con i flussi reali, ed è stata in grado di prevedere anche le conseguenze di cambiamenti repentini.
“Ora bisogna integrare questo tipo di approccio con gli studi storici e sociali per comprendere meglio le diverse cause, climatiche, economiche e sociali”, conclude Pasini. “Per affrontare il futuro, più che di muri avremmo bisogno di aiuti e azioni che possano avere effetti benefici sul clima e sui flussi migratori”.
Riferimenti: Environmental Research Communications