La plastica sta mettendo seriamente a rischio le barriere coralline della regione dell’Asia-Pacifico, dalla Thailandia all’Australia, già in sofferenza per le intense attività di pesca, l’inquinamento dell’acqua e l’aumento delle temperature oceaniche causato dal riscaldamento globale. Lo afferma uno studio internazionale condotto da un gruppo di ricercatori guidato da Joleah Lamb della Cornell University di Ithaca, negli Stati Uniti, e pubblicato su Science.
Milioni di tonnellate di rifiuti di plastica vengono immessi ogni anno nell’oceano. Il 60% della plastica che finisce in mare viene da poche nazioni, quasi tutte nella regione Asia-Pacifico (dove si trovano il 55.5% delle scogliere coralline del nostro pianeta), e principalmente da Cina, Filippine, Thailandia, Vietnam ed Indonesia. Le ragioni sono note: l’elevata densità della popolazione nelle regioni costiere, la rapida ed incontrollata crescita economica di questi paesi, il conseguente aumento dei consumi e dei rifiuti, la cattiva qualità dei sistemi di gestione dei rifiuti stessi e l’assenza di infrastrutture per il riciclo sufficientemente sviluppate.
Uno studio del 2015 condotto da Jenna Jambeck e dal suo gruppo di ricerca stimava che ogni anno i paesi della regione Asia-Pacifico immettono nell’oceano dai 4.8 ai 12.7 milioni di tonnellate di plastica. Sulla base di tale studio e di dati raccolti nel periodo 2011-2014, Joleah Lamb e colleghi hanno stimato che 11.1 miliardi di oggetti di plastica, di dimensioni maggiori di 5 cm (tra cui buste per la spesa, reti da pesca, pannolini e bustine di tè) fluttuano sulle barriere coralline della regione Asia-Pacifico. Purtroppo le previsioni per il futuro non sono incoraggianti. Se le cose non cambiano, con un netto miglioramento dei sistemi di gestione dei rifiuti, nei prossimi sette anni la quantità totale di plastica che verrà immessa nell’ambiente marino aumenterà di un ordine di grandezza. E nel 2025 gli oggetti di plastica intrappolati nelle barriere cristalline nella regione Asia-Pacifico saranno 15.7 miliardi, con un aumento del 40%. La distribuzione geografica non cambierà sostanzialmente, ma aumenterà considerevolmente la disparità nelle quantità di rifiuti plastici immessi nel mare tra i paesi in via di sviluppo e i paesi industrializzati: i rifiuti di plastica aumenteranno solo dell’1% nei paesi ad alto reddito, come l’Australia, ma raddoppieranno quasi in un paese a basso reddito ma altrettanto popolato, come il Myanmar.
Quale effetto può avere sulla salute delle barriere cristalline l’incontrollata immissione di plastica nell’oceano? Joleah Lamb e colleghi hanno esaminato 124884 coralli di 159 barriere coralline in quattro paesi della regione Asia-Pacifico (Indonesia, Australia, Myanmar e Thailandia) tra il 2011 ed il 2014, per valutare l’effetto della plastica sulle malattie che colpiscono i coralli. I ricercatori hanno trovato oggetti di plastica di dimensioni maggiori di 5 cm su un terzo delle scogliere coralline analizzate. Il numero di oggetti di plastica variava notevolmente tra i paesi oggetto di studio e risultava più basso in Australia (con 0.4 oggetti di plastica in un’area di 100 metri quadrati) e più alto in Indonesia (con 25.6 oggetti di plastica in un’area di 100 metri quadrati).
I ricercatori hanno analizzato i coralli andando a cercare i segni di perdita di tessuto, tipici di lesioni da malattia attiva. In assenza di plastica, la probabilità di malattia era del 4.4 %. La presenza di plastica determinava un incremento di più di 20 volte del rischio di malattia, arrivando fino all’89% in alcuni casi. Questo accadeva in particolare per tre delle malattie più comuni dei coralli: la malattia da erosione scheletrica, le sindromi bianche e la malattia della banda nera.
Non è tutto. Lamb e colleghi hanno scoperto che alcuni tipi di coralli sono più sensibili alla plastica di altri. La probabilità di ammalarsi è legata al tipo di struttura dei coralli che, in base alla crescente complessità strutturale della morfologia delle loro colonie, si distinguono in massivi, ramificati e tabulari. I coralli strutturalmente più complessi, cioè quelli ramificati e tabulari, hanno una probabilità di ammalarsi che è 8 volte maggiore rispetto ai coralli massivi, data la loro maggiore superficie potenziale di contatto con la plastica. Si tratta di un aspetto cruciale se si tiene conto del fatto che i coralli strutturalmente più complessi sono responsabili della disponibilità di microhabitat per gli organismi associati alla barriera corallina. Un aumento della mortalità di coralli ramificati e tubulari potrebbe determinare una compromissione della biodiversità di tali ecosistemi e delle preziose attività di pesca.
La presenza di plastica aumenta, dunque, la vulnerabilità dei coralli ad alcuni tipi di malattie, ma i meccanismi sono ancora tutti da indagare. Gli autori dello studio citano ricerche precedenti che dimostrano che la presenza di frammenti di plastica può esporre i coralli ad una situazione di stress, con diminuzione della luce e dell’ossigeno disponibili, che favorisce l’invasione di agenti patogeni. Uno studio sperimentale ha mostrato che condizioni di scarsa illuminazione e di anossia favoriscono la formazione di tappeti polimicrobici, caratteristici della malattia della banda nera. I coralli infettati mostrano un aspetto caratterizzato da un’area scura, quasi nera, da cui il nome.
Un’altra possibilità è che i frammenti di plastica possano causare abrasioni e lesioni ai tessuti dei coralli, che favoriscono l’invasione da parte di agenti patogeni. “I coralli sono animali come noi ed hanno tessuti molto sottili che possono essere tagliati ed infettati, specialmente se vengono tagliati da un oggetto coperto da ogni tipo di microorganismi” ha detto la ricercatrice Joleah Lamb alla Reuters.
I rifiuti di plastica vengono spesso colonizzati da microrganismi patogeni e i frammenti plastica possono fungere da “veicoli” di infezioni per i coralli. Le specie microbiche che colonizzano i detriti plastici marini sono dominate dal genere Vibrio, batteri patogeni opportunisti responsabili del gruppo di malattie dei coralli noto globalmente come sindromi bianche, che si manifestano con la formazione di una zona bianca e priva di tessuto sui coralli infettati. In uno studio precedente si è visto che, se si provocano artificialmente ferite sui coralli, viene favorito l’instaurarsi del protozoo ciliato Halofolliculina corallasia, l’agente eziologico della malattia della banda dell’erosione scheletrica.
Le conclusioni dello studio sono preoccupanti. L’inquinamento da plastica condiziona la sopravvivenza stessa delle barriere cristalline, uno degli ecosistemi con il più alto grado di biodiversità del nostro pianeta. Si tratta di un aspetto cruciale in uno scenario come quello attuale in cui le scogliere coralline di tutto il mondo sono a rischio di scomparire, a causa dell’aumento delle temperature degli oceani. Se si tiene conto che oltre 275 milioni di persone basano la propria sussistenza sulle risorse derivanti dagli ecosistemi corallini e dalle attività correlate come il turismo, risulta evidente che le implicazioni di questi risultati sono notevoli. Non ci sono alternative. Occorre ridurre la quantità di plastica che viene immessa nell’oceano migliorando i sistemi di gestione dei rifiuti per la salvaguardia di questi ecosistemi. Gli scienziati stanno sollecitando maggiori restrizioni politiche per limitare l’immissione di rifiuti plastici nell’oceano. A dicembre, quasi 200 paesi hanno dichiarato guerra alla plastica in mare concordando una risoluzione delle Nazioni Unite per eliminare l’inquinamento di plastica dagli oceani. Se non si riesce ad invertire la rotta, entro il 2050 nel mare avremo più plastica che pesci.
Riferimenti: Science