Dalle cosmogonie primordiali alle moderne interpretazioni del nostro universo, dalle antiche visioni mitologiche ai risultati sperimentali della fisica di oggi. E’ il viaggio, accompagnato dalle raffinate illustrazioni che punteggiano questo libro, proposto dall’astrofisico Pietro Oliva (Pietro Oliva. Cosmologie e cosmogonie. Una breve storia dal simbolo alla fisica. La Lepre Edizioni, 2018pp. 159, € 28.00).
Il raccordo tra concezioni tanto lontane diventa possibile e stimolante a partire da attente riflessioni sull’uso del linguaggio, per esempio mettendo in evidenza gli equivoci originati dal fatto che, in tempi e in contesti diversi, il significato degli stessi lemmi non è affatto identificato univocamente. Così molte parole, trasferite da un campo del sapere a un altro, modificano la loro specificità originaria e assumono significati diversi: concetti come energia o trasformazione, trasferiti dall’ambito familiare all’ambito tecnico, perdono di potenza e, nella loro ambiguità, sono solitamente mal utilizzate anche nel linguaggio comune. Per fare chiarezza su questo, Oliva, nelle ricchissime note al testo, indica l’etimologia di molti termini ricercandone le radici nel sanscrito o nelle antiche lingue indoeuropee, e associa più parole con le stesse origini facendo notare al lettore le progressive modificazioni dell’uso e del significato.
I primi Miti elaborati dalle diverse culture per spiegare le Origini del Cosmo parlano di come da un Nulla Indifferenziato i progenitori con poteri divini o magici abbiano creato differenze significative: demiurghi con caratteristiche particolari agiscono sulla terra o sulle acque, avviando crescite di tipo embrionale da un Uovo primordiale o smembrando in parti differenziate individui simbolo del Tutto. Molti Miti raccontano il passaggio a un mondo ordinato e custodito da dei o da eroi, e le antiche rappresentazioni dei progenitori che gestiscono il passaggio dal caos alla vita degli uomini rimandano a possibili equilibri tra elementi o entità opposte, a culti solari, alla distribuzione delle acque, ai riti necessari per mantenere la fertilità della terra.
Dai miti prendono forma le prime domande di tipo scientifico: si cominciano a trovare relazioni numeriche tra i diversi aspetti degli oggetti naturali, si organizza lo Spazio che può essere misurato con squadra e compasso, e questi strumenti vengono a rappresentare i simboli del maschile e del femminile. In Grecia, il pensiero dei primi filosofi si volge alla ricerca di uno o più principi primi da cui l’universo può aver avuto origine: e le relazioni tra eventi prendono presto forma matematica, si trovano quantità contabili e rappresentazioni magiche , si associano numeri alle Stagioni, alle Virtù, alle Figure geometriche, si dà significato alla Tetractys (figura composta da 4+3), si individua nel simbolo dello Svastika (nome maschile) il principio vivificatore del creato.
L’osservazione del cielo, i cambiamenti della posizione delle costellazioni nelle stagioni, portano a miti e a leggende via via più articolati che contengono le prime risposte alle domande sull’universo. Il presente si distacca gradualmente dai concetti assoluti di spazio e di tempo e, lungo i percorsi del pensiero correlato alle diverse religioni, si cominciano a distinguere spiegazioni divine e spiegazioni scientifiche, queste ultime fondate su osservazioni e soprattutto su calcoli.
Fin dal IV secolo a.C. Eudosso, e poi Tolomeo, e poi Ipparco modellizzavano la volta celeste e il movimento delle stelle calcolando future eclissi di sole e individuando il movimento lentissimo della precessione degli equinozi , quello per cui i due punti di intersezione tra equatore celeste ed eclittica si muovono nel tempo attraverso tutte le costellazioni dello zodiaco impiegando circa 26.000 anni. Solo nel 1543 d.C. Micolai Koppernight pubblica in punto di morte il suo De revolutionibus orbium coelestium e modifica drasticamente le concezioni dell’epoca: in questa opera Copernico, tenendo conto delle misure e dei modelli della sua epoca, elabora nuove e complesse orbite per i pianeti e soprattutto per la Terra che si muove intorno al Sole, il quale abbandona il suo posto di centro dell’universo.
Le nuove scoperte scientifiche non solo in astronomia richiedono linguaggi sempre più efficaci. Le accurate misure di variabili e la rappresentazione delle loro relazioni, alla base del pensiero di Galileo, impongono nuovi criteri di schematizzazione e matematizzazione; gli studiosi condividono nuovi criteri metodologici per sostenere la validità di teorie e ipotesi che vogliono spiegare scientificamente i fenomeni naturali. Oliva spiega come e perché lo sviluppo del pensiero richieda necessariamente l’elaborazione di nuovi simbolismi matematici, facili da leggere e da interpretare; per questa esigenza di comunicazione diventa comune l’uso di nominare alcune potenze di dieci con dei prefissi accostati al nome dell’unità di misura usata per indicare le dimensioni di grandezze estremamente grandi o estremamente piccole (molti di questi prefissi sono oggi comunemente usati per indicare la quantità di informazione in byte disponibile nei nostri computer).
L’ultimo capitolo del libro è dedicato a “Cenni di cosmologia moderna” in cui si descrivono le attuali ipotesi su spazio e tempo organizzati in un continuum spazio temporale di tipo relativistico. Già verso la metà del ‘900 era stato possibile delineare una mappa della nostra galassia di cui Oliva descrive in breve le componenti: un disco, un alone e un nucleo, formati da stelle giovani e stelle vecchie variamente distribuite. Oltre la nostra Galassia, l’Universo si espande: osservazioni e calcoli rendono necessaria l’introduzione in esso di una materia oscura, presente in quantità dieci volte superiore a quella luminosa.
Il modello classico del Big Bang richiede continue modifiche tanto che oggi, per dare conto delle nuove osservazioni che sostengono il Modello Standard della cosmologia, deve essere immaginato un periodo di inflazione, precedente al Big Bang e alla formazione della materia. Davanti a tutto quello che scopriamo di non conoscere, conclude Oliva, ci troviamo in una condizione simile a quella degli antichi astronomi ellenici, che contemplavano la sfera celeste per interpretarla e comprenderla, stupefatti dalle regolarità come da fenomeni inconsueti. Quello che sappiamo è che gli atomi che ci compongono derivano da stelle già morte che hanno disperso nello spazio le loro polveri: e l’idea di questa appartenenza al Cosmo può guidare più consapevolmente i nostri sguardi notturni verso il cielo stellato.