Storie di mummie e di imbalsamatori

Oggi possono sembrare pratiche macabre e talvolta ripugnanti. E tuttavia il loro scopo primordiale – quello di dare un senso alla morte, e rendere comprensibile un fenomeno così misterioso come il passaggio all’aldilà – accomuna culture lontane nel tempo e nello spazio. Proprio di mummificazione, imbalsamazione e pietrificazione, dunque di conservazione dei resti mortali degli esseri umani, si è parlato allo Science Cafè 2011, organizzato dall’Eurac di Bolzano. Qui Luigi Garlaschelli, chimico dell’Università di Pavia e membro del Cicap (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale), Calogero Peri, teologo e vescovo di Caltagirone, e Dario Piombino-Mascali, antropologo dell’Accademia europea hanno esplorato insieme al pubblico i motivi religiosi, medici o scientifici che hanno sostenuto queste pratiche nel corso dei secoli, condotte sui corpi votati alla santità, ma anche sulle spoglie di laici devoti alla Chiesa o destinate alla memoria dei posteri.

Mummificazione, imbalsamazione, pietrificazione

“Le principali tecniche di conservazione dei corpi sono l’eviscerazione (la rimozione degli organi interni, più soggetti ai processi putrefattivi), l’iniezione vascolare e l’immersione in sostanze conservanti”, spiega Piombino-Mascali, che alla Cripta dei Cappuccini di Palermo si sta occupando della catalogazione, campionatura e analisi di oltre 2000 mummie appartenenti ad alti prelati, ufficiali dell’esercito, ma anche a intere famiglie borghesi in abiti cerimoniali. “La mummificazione – continua l’antropologo – è un processo naturale di conservazione, l’imbalsamazione implica invece l’uso di sostanze e balsami, mentre la pietrificazione – termine che tuttavia dovrebbe essere impiegato preferibilmente per organi interni e parti anatomiche, piuttosto che per i corpi interi – indica un indurimento del cadavere”.

Per i posteri le mummie sono preziosi testimoni del passato, perché il loro studio permette per esempio alla medicina di ricavare dati epidemiologici importanti sulla storia delle malattie, all’antropologia di ricostruire la cultura (le mode, gli abiti) di una determinata epoca. Per il loro studio, continua Piombino-Mascali, ci si serve di tecniche non invasive, come la radiografia e la Tac, al fine di garantire l’integrità del reperto.

Conservare il corpo per la resurrezione

Ma sono anche le diverse religioni a ricorrere alla conservazione delle spoglie umane. A spingere verso l’imbalsamazione il Cristianesimo, per esempio, è l’idea di corpo inteso come dimensione materiale e spirituale della presenza di Dio e prospettiva di risurrezione: “Il rispetto per il corpo aumenta, se la persona è dotata anche di virtù”, spiega il teologo Calogero Peri, “dopo la proclamazione della santità, le norme canoniche prevedono, infatti, la riesumazione del corpo e la sua conservazione, poiché esso ha reso visibile il divino”. A Messina, per esempio, troneggia la santa cittadina Eustochia Smeralda Calafato. La tradizione vuole che la sua bellezza avesse ispirato persino il grande pittore del Quattrocento, Antonello da Messina.

Spesso, però, il sacro si mescola al profano: mentre le prime mummie, verso la metà del Cinquecento, appartenevano solo ai frati, dal secolo successivo molti laici richiesero per devozione, per assicurarsi le preghiere dei fedeli o per la vicinanza al luogo sacro, che anche i loro resti fossero conservati nelle cripte scavate nel tufo.

Pietrificazione, una tecnica laica

Al genere macabro e misterioso appartiene per certi versi il metodo della pietrificazione, del quale fu uno dei massimi esponenti Paolo Gorini (1813-1881), scienziato preparatore di cadaveri e parti anatomiche, noto anche come “mago di Lodi“. “Siamo riusciti a trovare alcune sue ricette, rimaste segrete per lungo tempo, che consentivano di mineralizzare interi corpi umani, rendendoli duri come legno o pietra, e le abbiamo applicate su un maialino, un pollo e un coniglio. Lo scienziato, che operò nella prima metà dell’Ottocento, utilizzava resti di persone anonime, senza famiglia o contadini, che lui teneva come carne da esperimento”, spiega invece Garlaschelli. L’intervento più famoso dell’alchimista lodigiano fu quello richiesto sulla salma di Giuseppe Mazzini, il cui trattamento durò quasi un anno, e che intendeva contrapporre una sorta di reliquia laica a quella tradizionale di papi o santi da mostrare agli italiani per rafforzarne i sentimenti repubblicani.

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