Muro contro muro sulla chimica

Una città divisa in due. È Venezia, che ancora una volta torna a spaccarsi sulla questione della chimica. Da una parte, le associazioni ambientaliste e una bella fetta di di popolazione, spalleggiati per l’occasione dal presidente della Giunta Regionale del Veneto, Giancarlo Galan, che si sono posti un obbiettivo chiaro e perentorio: “liberare” la laguna dagli impianti dell’industria chimica al più presto possibile. Dall’altro i lavoratori del settore chimico, che protestano da giorni e trovano un convinto alleato nel sindaco Massimo Cacciari e l’appoggio dei Democratici di Sinistra. La storia è antica, ed è una delle più drammatiche vicende italiane di conflitto tra esigenze di sviluppo e salute pubblica, politica industriale e salvaguardia ambientale, legittima difesa di posti di lavoro e altrettanto legittima protezione di tutti i cittadini. Il polo chimico di Porto Marghera è nell’occhio del ciclone da anni: è stato al centro di un doloroso processo incentrato sulle morti di oltre cento operai, attribuite all’uso di sostanze tossiche nei processi produttivi; è accusato di devastare l’ecosistema lagunare. Negli ultimi anni alcuni incidenti (il più recente nel maggio di quest’anno) hanno portato a fuoriuscite tossiche e sollevato ancora una volta l’allarme sull’opportunità di avere un polo industriale di questo tipo accanto a un grande centro abitato e all’ambiente naturale della Laguna. Il presidente della regione Giancarlo Galan (Forza Italia) ha chiarito da tempo il suo pensiero, e già due anni fa propose senza mezzi termini di “spostare la chimica nel deserto”, ovvero delocalizzare gli impianti chimici più a rischio lontano dalla città e dalla laguna; anzi, lontano da tutti i grandi centri abitati, spostandoli anche oltre frontiera, per esempio in Libia. Le associazioni ambientaliste, dal canto loro, all’inizio di quest’anno hanno raccolto le firme necessarie per un referendum (non ancora indetto) sulla delocalizzazione del ciclo del cloro, una delle lavorazioni più rischiose e inquinanti, e chiedono che non vengano autorizzati nuovi investimenti che vincolino la produzione chimica a Marghera troppo a lungo. Il 25 ottobre scorso il consiglio regionale presieduto da Galan ha approvato una delibera che fissa al 2015 la data limite per la permanenza delle industrie chimiche nell’area. Un’iniziativa accolta con favore da associazioni ambientaliste come il Wwf, che giudicavano positivamente la scelta di Galan a patto che non si tratti solo promesse elettorali. Ma l’atteggiamento del presidente della regione ha scatenato una lunga e dura protesta dei lavoratori della chimica, che è in pieno svolgimento e minaccia di protrarsi per tutto il periodo natalizio. L’oggetto del contendere è doppio: c’è l’ultimatum del 2015, ovviamente. Ma c’è anche il fatto che un’altra parte di quella delibera dà un parere favorevole all’investimento su nuove tecnologie più sicure negli impianti di produzione del cloro. Galan non ha ancora inviato, come prevede la legge, quella delibera al Ministero dell’Ambiente a Roma per un parere. E finché ciò non avviene di fatto l’investimento sui nuovi sistemi di produzione è bloccato, e la produzione in quegli stabilimenti è a rischio ben prima del 2015. In assenza di chiare indicazioni dalla regione, la multinazionale che controlla quelle produzioni, la Ineos, deciderà presumibilmente di spostare le produzioni altrove da qui a un anno. I lavoratori stanno rispondendo da giorni con una durissima protesta. La giornata di mercoledì 14, in particolare, è stata segnata da blocchi stradali che hanno causato 15 chilometri di coda sulla statale Romea, con gli operai a presidiare la strada dalle 9 del mattino fino alle 6 di pomeriggio. Dalla loro parte c’è il sindaco Cacciari, che ha ricordato come “i primi ambientalisti sono sempre stati i lavoratori”, mentre diversi rappresentati dei Democratici di Sinistra hanno invitato Galan a sbloccare la situazione e non fare ostruzionismo sul rinnoveo degli impianti. Galan ha risposto invitando i lavoratori a “non scimmiottare il peggio della Val di Susa”, e ad accettare di discutere seriamente di un futuro alternativo alla chimica per Marghera.”Dare una scadenza secca da qui a dieci anni è il modo peggiore di tutelare la salute dei cittadini e l’ambiente” secondo Franco Baldan, segretario provinciale della Ficem-Cgil, il sindacato dei lavoratori della chimica. “In questo modo si disincentivano le imprese a investire in tecnologie più pulite e le si spinge a badare solo a massimizzare il profitto nel tempo che resta”. Baldan ricorda come esista un accordo di programma sull’area di Marghera che ha già portato all’abbandono di tutti gli impianti obsoleti e non in regola. “Quelli attuali sono perfettamente in regola, e abbiamo tecnologie che negli anni Settanta non c’erano per garantire la protezione dei lavoratori e dell’ambiente. Purché si incentivino le imprese a investire su di esse”.

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