Quando si parla di sistema immunitario c’è forse una tendenza a considerarlo come qualcosa di nascosto, di interno, fatto di cellule e anticorpi che viaggiano per lo più nel sangue e dislocati qua e là nel corpo. In realtà gran parte delle nostre armi di difesa si trovano in bella mostra, o quasi. Come quelle associate alle mucose, localizzate all’interfaccia tra mondo interno ed esterno, da dove appunto possono arrivare pericoli. Come quelle delle vie aeree. Vi ricorda qualcosa? Il coronavirus Sars-Cov-2, l’agente eziologico di Covid-19, è un virus respiratorio, che predilige come porta di ingresso al corpo appunto le vie respiratorie (e gli occhi). E proprio mentre stanno per arrivare i primi vaccini, sviluppati a tempo di record, c’è chi ricorda che è qui che dovrebbe concentrarsi buona parte della ricerca per combattere il coronavirus: sulla risposta immunitaria localizzata a livello delle mucose.
“Pensiamo che sia una grave omissione ignorare la risposta immunitaria delle mucose al Sars-Cov-2, dal momento che queste sono le sue iniziali sedi di infezione. Chiaramente la risposta delle immunoglobuline sistemiche G, gli anticorpi circolanti più abbondanti, è importante – non lo neghiamo – ma di per sé è insufficiente”. A lanciare l’appello è Michael W. Russell, emerito delll’Università di Buffalo, che con i colleghi sulle pagine di Frontiers in Immunology richiama per quella che definiscono una “mucosal immune dimension to Covid-19”, qualcosa traducibile come una “dimensione sull’immunità mucosale per Covid-19“. E più in generale il loro è un appello a sottolineare che sulle risposte del sistema immunitario al coronavirus sappiamo ancora poco.
Russel e colleghi suggeriscono infatti delle vie su cui dovrebbe focalizzarsi la ricerca, con il preciso scopo di comprendere la risposta anticorpale e cellulare a livello delle mucose, perché è qui che inizialmente tutto avviene. Cercare di capire come risponde il sistema immunitario associato alle mucose – compresi gli anticorpi specifici delle mucose, come le IgA – aiuterebbe a far luce magari sulle diverse manifestazioni della malattia (per esempio chiarendo il rebus degli asintomatici), ma soprattutto potrebbe essere una conoscenza da sfruttare in ottica di prevenzione. Per esempio, neanche a dirlo, con i vaccini intranasali, che mirino a indurre una risposta immunitaria a livello delle mucose. Lì dove si incontra il virus, con dei benefici, scrivono gli autori non osservati con le tradizionali somministrazioni vaccinali per iniezione.
“Il virus arriva e atterra sulle mucose. Se venisse neutralizzato qui, sarebbe tutto finito”, ha sintetizzato in poche parole al Guardian Florian Krammer della Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York. Il riferimento è alla speranza di bloccare del tutto l’infezione e non solo la malattia, tema su cui si discute anche alla luce dei primi vaccini che stanno arrivando, per i quali non è nota l’efficacia appunto di bloccare l’infezione. Non è nota perché non sono stati disegnati esattamente per questo, riassumeva bene un articolo sul Bmj qualche tempo fa. Ed è invece un aspetto fondamentale per considerare anche le strategie vaccinali che veranno intraprese, come spiega la giornalista scientifica Roberta Villa.
Mi sembra che ci sia ancora molta confusione su che cosa possiamo e dobbiamo aspettarci dai vaccini in arrivo, ma…
Pubblicato da Roberta Villa su Mercoledì 2 dicembre 2020
In realtà del tutto bistrattata l’ipotesi dei vaccini intranasali, ma più in generale quella di spray nasali – soluzioni che mirino a potenziare la risposta immunitaria lì dove avviene il primo incontro con il virus, e magari a bloccarlo evitando che vada oltre – non lo è, ed è stata abbracciata anche nel corso della pandemia. Anche se è vero che sia tra quelli in dirittura di arrivo (Moderna, Pzifer e Astrazeneca) che tra quelli in fase avanzata di sviluppo clinico somministrazioni diverse da quelle intramuscolo sono un’eccezione (tanto per intranasale che orale, che per sottocute per esempio). Ma come dicevamo bistrattata del tutto la questione non è, anche se si parla di sperimentazioni in stadi abbastanza precoci di sviluppo.
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Per esempio, nelle scorse settimane era arrivata la notizia di un vaccino che somministrato nei topi induceva sia risposta anticorpale che cellulare nelle mucose del tratto respiratorio, oltre che a indurre una risposta sistemica. Potenzialmente, spiegavano cauti i ricercatori dietro lo studio (in preprint), fornendo una protezione non solo contro la malattia ma anche contro la trasmissione del virus.
L’idea di potenziare le difese alle porte di ingresso del virus non riguarda però solo i vaccini intranasali. Più in generale sono diversi i tentativi di sviluppare degli spray che agiscano a livello nasale bloccando l’ingresso del virus, senza necessariamente funzionare come un vaccino. Sono studi piccoli, piccolissimi in alcuni casi, condotti ancora su modelli animali, ma suggeriscono che l’idea di fermare il patogeno subito non sia così bislacca. Come quella di un team di ricercatori sparsi tra Olanda e Stati Uniti che ha mostrato come la somministrazione intranasale giornaliera di un inibitore del virus (un costrutto lipopeptidico) nei furetti fosse in grado di proteggere dall’infezione e dalla trasmissione. Sempre nei furetti è stato condotto poi lo studio di un antivirale capace di bloccare la trasmissione, ma somministrato oralmente in questo caso. Ci sono stati poi i tentativi dello spray nasale di una biotech australiana, capace a detta dei loro ideatori di stimolare l’immunità aspecifica e di bloccare la replicazione virale. Sempre dall’Australia invece arriva la notizia dell’avvio di una sperimentazione clinica che metterà direttamente nel naso di alcune persone delle gocce contenenti anticorpi anti-coronavirus prodotti utilizzando delle uova. Per ora, come racconta Science, lo scopo è solo quello di testare la sicurezza del processo e la persistenza degli anticorpi, ma parallelamente gli studi sugli animali aiuteranno a capire anche la loro efficacia come scudo contro il coronavirus.
Si tratta, come detto, di tenativi per ora, idee, per lo più mirate a rappresentare un’arma in più nella lotta al coronavirus, fornendo una protezione che non è chiaro quanto possa durare, in alcuni casi molto poco. Un campo da studiare, ancora, come tutto quel che ruota intorno al coronavirus. Dalla loro degli spray nasali avrebbero la relativa facilità di somminstrazione, in alcuni casi facendo affidamento su prodotti più stabili e meno complicati da conservare.
Via: Wired.it