Lo scorso aprile la rete ha scoperto l’ultima frontiera del binge drinking: l’alcol in polvere, o palcohol. La notizia, diffusa dopo l’approvazione del nuovo prodotto da parte dell’Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau statunitense, aveva scatenato da subito una lunga serie di proteste per la presunta facilità con cui la polvere di alcol avrebbe potuto essere soggetta ad abuso, in particolare da parte dei più giovani, portando l’agenzia statunitense a ritirare l’autorizzazione per la vendita del palcohol. Ma solo temporaneamente: nei giorni scorsi infatti l’alcol in polvere ha ricevuto il via libera definitivo, e dovrebbe presto essere disponibile in quattro varietà (vodka, rum, metropolitan e margarita) nei negozi americani. Ma di cosa si tratta esattamente?
La ricetta utilizzata dall’inventore del palcohol Mark Phillips per ora è segreta, ma l’idea in realtà non è nuova. Come racconta Scientific American, già negli anni ’70 la giapponese Sato Foods Industries aveva brevettato la formula per realizzare alcol in polvere, che veniva venduto come additivo alimentare, per arricchire il sapore di gelatine, cioccolata e altri cibi, e aggiungere ai propri pasti, perché no, una decisa nota alcolica. Le potenzialità ricreative dell’invenzione (in particolare se indirizzata ai più giovani) non erano forse chiare alla compagnia del sol levante, ma erano di certo presenti.
E infatti la polvere di alcol è stata “riscoperta” già ben due volte negli ultimi 10 anni: prima in Germania, dove è stata venduta per alcuni anni con il nome commerciale di SubYou, e poi in Danimarca, come Booz2G, prodotta (ma mai commercializzata) da una startup che riteneva in questo modo di poter vendere l’alcol anche ai minori.
In tutti i casi la ricetta è più o meno la stessa. L’alcol etilico viene incapsulato all’interno di molecole zuccherine studiate per essere altamente assorbenti (una delle più efficaci è la ciclodestrina, molecola molto utilizzata in campo alimentare e farmacologico, ma popsci segnala una ricetta per realizzare la polvere di alcol anche con maltodestrina N-zorbit, diffusa come ingrediente da cucina molecolare e di facile reperibilità). Il risultato è una polvere solubile, che sciolta in acqua forma una bevanda alcolica.
Le preoccupazioni all’annuncio dell’autorizzazione del palcohol riguardavano principalmente il fatto che la polvere potrebbe finire facilmente in mano a minori, potrebbe essere utilizzata per correggere di nascosto il drink di una persona ignara, e potrebbe essere sniffata come forma estrema di consumo di alcol. Negli scorsi mesi però Mark Philips ha lavorato al problema, trovando una soluzione che sembra aver convinto l’agenzia regolatoria statunitense: aggiungere polvere inerte al suo mix. Le nuove bustine di palcohol, equivalenti ad un drink o ad uno shot di vodka, contengono infatti circa 30 g di polvere, una dose che rende estremamente remota la possibilità di sniffarle o aggiungerle di nascosto al bicchiere di una vittima ignara.
Così modificato, l’unico utilizzo possibile per il palcohol sembra essere quello pensato originariamente dal suo inventore, grande amante del trekking, che racconta di avere avuto l’idea dell’alcol in polvere per poter trasportare facilmente un drink da gustare al termine di un’escursione. Un prodotto effettivamente innocuo dunque, ma le cui possibilità commerciali sembrano a questo punto notevolmente ridotte.
via Wired.it
Credits immagine: Gabriel Jorby/Flickr CC