Sulla politica agricola comune (Pac) della Ue è difficile rimanere neutrali. Chi è a favore ne loda la capacità di garantire all’Europa un approvvigionamento alimentare costante e abbondante; chi la attacca ne denuncia soprattutto l’inefficienza economica, la “distorsione” dei sussidi agli agricoltori, i prezzi elevati per i consumatori e la sovrapproduzione agricola. Fra i principali detrattori di questo meccanismo Tony Blair, che ne ha parlato appena insediato nella sua funzione di presidente di turno dell’Ue nel luglio scorso. Ora però il tema è tornato di stringente attualità: siamo infatti alla vigilia dell’incontro di Doha fra i ministri del commercio estero dei paesi aderenti all’Organizzazione mondiale del commercio, uno dei negoziati periodici per stabilire regole comuni. Il 16 dicembre prossimo, in Qatar, verrà discusso anche il sistema di protezione applicato dall’Ue sui prodotti agricoli, che consente agli agricoltori europei di vendere i loro prodotto a prezzo di mercato, e quindi di essere competitivi, mettendosi in tasca di più grazie al sostegno dei prezzi garantito dall’Ue. All’appuntamento però l’Europa rischia di arrivare impreparata: lo stallo nelle trattative sul bilancio 2007-2013, di cui la Pac fa parte, è totale. Per discutere della riforma della Pac si svolgerà martedì 29 novembre a Roma nella sala delle Bandiere dell’Ufficio Rappresentanza dell’Unione un convegno promosso da Laici Liberali, Socialisti, Radicali. Ne abbiamo parlato con Secondo Tarditi, economista dell’Università di Siena, uno dei relatori della giornata.Professor Tarditi, come funziona il sistema di pagamenti diretti agli agricoltori messo sotto accusa da Blair?”Quando è stata pensata, negli anni Sessanta, la Pac era basata principalmente sul sostegno dei prezzi con un sistema di dazi. Negli anni Novanta, però, i negoziati con l’Organizzazione mondiale del commercio hanno portato a un abbassamento del livello dei prezzi agricoli: nel settore dei cereali, per esempio, è stato pari al 30 per cento. A questo punto per non creare una repentina riduzione del reddito degli agricoltori l’Unione ha garantito un sistema di pagamenti compensativi della riduzione dei prezzi. Semplificando il concetto, l’Unione paga, sulla base degli ettari coltivati, la differenza fra il prezzo di mercato e quello stabilito a livello europeo per gli agricoltori. Una misura che, in teoria, doveva essere limitata nel tempo e di entità decrescente in modo da consentire agli imprenditori agricoli di adattarsi alle nuove esigenze di mercato. In pratica non è stato così, non c’è stata una sostanziale riduzione degli aiuti. Quella che oggi, invece, Tony Blair ripropone con forza”.A quanto ammonta la spesa per la Pac?”Sul bilancio annuale dell’Ue la Pac pesa per il 46 per cento, circa 50 miliardi di euro, ma a questi soldi “visibili” perché voce di bilancio vanno aggiunti anche quelli “invisibili”, i costi che deve sopportare il consumatore a causa dell’aumento dei prezzi interni. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha stimato che questi costi siano pressoché equivalenti ad altri 50 miliardi di euro. A cui vanno aggiunti anche quelli sostenuti a livello nazionale da Stato e Regioni e le agevolazioni contributive specialmente sui contributi sanitari e previdenziali. Sommando tutto questo, nel caso dell’Italia, quando parliamo di 46 per cento del bilancio Ue parliamo solo di un quarto circa del totale dei trasferimenti dai cittadini consumatori e contribuenti al settore agricolo”.Un’altra accusa che si fa alla Pac è quella di favorire solo i grandi produttori. È vero?”Si, ma si tratta dell’inevitabile eredità dell’impostazione che ha ispirato la Pac. Negli anni Sessanta era importante per l’Europa aumentare i prezzi alla produzione, eravamo infatti dei grandi importatori e per far crescere il nostro livello di autosufficienza alimentare lo strumento migliore era il sostegno dei prezzi dei prodotti. Ora la situazione si è ribaltata, abbiamo mantenuto troppe risorse nel settore, siamo diventati esportatori netti e dobbiamo pagare sussidi all’esportazione. Il beneficio del sostegno dei prezzi è direttamente proporzionale alla quantità che si produce, di conseguenza un agricoltore guadagna molto di più se ha una grande azienda rispetto a chi ha una piccola azienda. D’altro canto le famiglie più povere spendono una quota maggiore del loro reddito in prodotti alimentari. Si tratta quindi di una tassa regressiva rispetto al reddito sul consumatore, e un aiuto progressivo per il produttore. Lo Stato fa così il contrario di quello che dovrebbe essere chiamato a fare: ridistribuire dai ricchi ai poveri. Siamo arrivati al punto di limitare la produzione, per esempio con il sistema delle quote, e a pagare gli agricoltori perché riducano la superficie coltivata in modo che i prezzi non si possano abbassare più di tanto. L’Europa per far ‘riposare’ il 10 per cento della sua superficie arabile paga ogni anno 1800 miliardi di euro. Invece di tassare le rendite, questo sistema le crea”.Quali sono i prodotti per i quali la protezione è più alta?”La carne bovina: i produttori ricevono un valore unitario che è quasi quattro volte superiore al prezzo di mercato. Metà di questo aumento gli viene dato attraverso un sussidio diretto alla produzione, l’altra metà con la protezione del prezzo sul mercato comunitario, che è pagata dai consumatori. Segue il latte: per mantenere un prezzo alto, senza però essere accusati di eccessivo dumping, cioè di venderlo all’estero a un prezzo molto più basso di quello applicato sul mercato interno, abbiamo dovuto introdurre il sistema della quote di produzione. Un meccanismo tipico delle economie centralizzate, agli antipodi della libera concorrenza. Infine lo zucchero che può contare su una protezione pari a oltre il 100 per cento del prezzo internazionale, questo regime di mercato si sta però riformando in questi giorni”. Una situazione complessa che interessa diversi settori, come se ne può uscire?”Il problema è che questi benefici si sono trasformati col tempo in rendite fondiarie, i terreni ora valgono di più. Andare a riformare il sistema, quindi, vuol dire toccare non solo i redditi degli agricoltori ma anche il valore delle loro aziende. Si potrebbero compensare gli agricoltori in maniera equa, ma “una tantum” favorendo una ristrutturazione che riduca i costi di produzione. Per esempio garantendo con dei titoli di credito per 10 oppure 15 anni (questa è ovviamente una decisione politica) agli agricoltori i sussidi che prendono oggi, indipendentemente da quello che decideranno di fare con i loro terreni, ma contemporaneamente eliminando la protezione dei prezzi sul mercato. In questo modo chi vorrà continuare a fare l’agricoltore avrà il capitale per ristrutturare la propria azienda per adattarsi alla nuova situazione, mentre i produttori con aziende troppo piccole per essere efficienti potranno vendere il loro terreno e, con i titoli di credito garantiti dall’Ue, pagarsi una pensione oppure ottenere da una banca il loro valore attualizzato per realizzare un’altra attività. In questo modo si avrebbe un vantaggio per tutti, agricoltori e consumatori e si contribuirebbe sostanzialmente alla risoluzione dei problemi della PAC ”.