Mammoni da grandi e frignoni da neonati? Pare di sì: i neonati italiani, infatti, si piazzano al terzo posto della classifica dei neonati che piangono più a lungo durante la giornata nei primi tre mesi di vita. Lo dicono i ricercatori dell’università di Warwick (Uk), che hanno analizzato i dati derivanti da una trentina di studi sul pianto dei pargoli in diverse parti del mondo. Gli esperti hanno così potuto stilare una mappa del tempo di pianto, che potrà aiutare a stabilire dei range di normalità e a capire se davvero il bambino piange troppo, traendone dunque un’indicazione sul suo stato di salute.
Lo studio, pubblicato dal Journal of Pediatrics, ha coinvolto in totale quasi 8.700 neonati, il cui pianto nell’arco delle 24 ore è stato registrato per 12 settimane.
L’équipe di Dieter Wolke, professore del dipartimento di psicologia dell’Università di Warwick, sostiene che in media i neonati piangono 2 ore al giorno nelle prime due settimane di vita, hanno un picco di 2 ore e 15 minuti a sei settimane, e poi gradualmente si attestano su una media di 1 ora e 10 minuti fino alle 12 settimane.
Tuttavia sono state registrate importanti differenze da Paese a Paese: il tempo del pianto varia tra 30 minuti a 5 ore al giorno, con Danimarca, Germania e Giappone tra i Paesi in cui i neonati piangono meno, mentre Regno Unito, Italia, Canada e Paesi Bassi hanno i livelli di pianto più alti.
In particolare, l’Italia si piazza al terzo posto del podio per il pianto da coliche (in inglese colic crying), cioè quello che dura più di tre ore al giorno per almeno tre giorni alla settimana per tre settimane di seguito (il cosiddetto criterio di Wessel): il 20,9% dei nostri neonati tra le 8 e le 9 settimane lo pratica, per la gioia dei genitori.
Non si tratta, però, di mero confronto. La ricerca del gruppo inglese mira a ridiscutere i criteri ancora oggi utilizzati per valutare il pianto dei neonati, alla luce anche di differenze culturali. Secondo Wolke ogni bambino è diverso e ci possono essere grandi differenze da individuo a individuo rimanendo all’interno di un range di normalità. Tuttavia è possibile imparare da quelle culture in cui il tempo di pianto è inferiore e capire se questo possa essere dovuto alle abitudini dei genitori, all’esperienza della gravidanza, alla genetica.
“Il nuovo schema del tempo di pianto dei bambini nei Paesi industrializzati”, sostiene Wolke, “aiuterà i professionisti della salute a rassicurare i genitori, e capire se il pianto del proprio bambino rientra nel range atteso nei primi 3 mesi di vita o se il neonato mostra pianto eccessivo, che può richiedere un’ulteriore valutazione e un sostegno supplementare per i genitori”.
Via: Wired.it