In Nigeria da anni si protrae un disastro ambientale e umanitario dalle enormi proporzioni, causato dallo sversamento del greggio e dalla pratica del gas flaring, fenomeni che hanno inquinato e continuano a inquinare acqua, aria e suolo. La cattiva gestione dello sfruttamento del petrolio da parte del governo e delle multinazionali hanno trasformato l’oro nero in una risorsa che ha arricchito pochi e portato impoverimento e soprusi per molti. Lo denuncia a gran voce Amici della Terra che ha indetto una conferenza lo scorso 1 luglio a Roma. All’evento hanno partecipato Christine Weise, presidente della sezione italiana di Amnesty International, Elena Gerebizza della Campagna per la riforma della Banca Mondiale e Nnimmo Bassey, fondatore di Environmental Right Action Nigeria e presidente di Friends of the Earth International.
La Nigeria è il primo produttore africano di petrolio, con 606 pozzi all’attivo, molti distribuiti lungo il Delta del Niger (una delle dieci zone umide più importanti al mondo), che forniscono oltre il 40 per cento del greggio importato dagli Stati Uniti. In questa terra, il petrolio è estratto da oltre cinquant’anni ma i profitti di miliardi di dollari di questa attività sono andati tutti in tasca allo stato e alle multinazionali petrolifere (tra cui Shell, Eni e Total oltre ad alcune società locali). Ancora oggi, infatti, la stragrande maggioranza della popolazione nigeriana vive in povertà, senza accesso ad acqua e ai servizi igienici di base.
“Negli ultimi 50 anni sono stati sversati circa 1,5 milioni di tonnellate di petrolio, cinquanta volte la quantità fuoriuscita nella tragedia della Exxon Valdez, equivalente a quella dispersa dalla piattaforma della British Petroleum nelle acque del Messico fino a questo momento”, ha dichiarato Nnimmo Bassey. “In Nigeria – ha proseguito il presidente di Friends of the Earth International – ci sono oltre 7.000 chilometri di oleodotti, la maggior parte in superficie e vecchi di quarant’anni. Strutture che devono essere cambiate o continueranno a perdere. A questo disastro si aggiunge la pratica del gas flaring, illegale dal 1984”.
Quest’attività consiste nel bruciare il gas naturale proveniente dal sottosuolo come prodotto del processo di estrazione del petrolio. I fuochi sono alimentati da una fortissima pressione interna e surriscaldano l’aria, già torrida. Parte di questi gas, inoltre, non bruciano e vengono respirati dalla popolazione nigeriana, causando cancro, malattie cutanee e asma. Sebbene esistano oggi soluzioni tecnologiche per limitare il gas flaring, il fenomeno riguarda venti nazioni nel mondo e, dopo la Russia, la Nigeria è il paese più colpito con circa 24 miliardi di metri cubi di gas naturale bruciati in torcia ogni anno, pari al 12,5 per cento della quota mondiale. Un danno anche in termini monetari (dal momento che il gas è comunque una risorsa energetica) che equivale alla perdita di 2,5 miliardi di dollari. A differenza della Russia però, dove i gas sono bruciati in zone desertiche, in Nigeria i fuochi vengono accesi in aree popolate. Nello specifico, nel Delta del Niger si contano più di cinquanta impianti di gas flaring, da cui derivano 280 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pari al 3 per cento delle emissioni mondiali.
La pratica è utilizzata oggi da alcune compagnie petrolifere per ridurre i costi di estrazione del greggio. “Non possiamo da una parte del pianeta piantare alberi e dall’altra continuare a tollerare queste pratiche illegali, per di più sovvenzionate con finanziamenti pubblici”, ha commentato Bassey: “Molte scadenze sono state fissate in passato per abolire la pratica del gas flaring, ma nessuna è stata rispettata”. Unico dato positivo: sembra che almeno le prospettive comincino a cambiare e che le compagnie petrolifere intendano usare il gas per la produzione di elettricità.
Intanto, però, se in Nigeria l’aspettativa di vita è in media di 48 anni, nella zona del Delta del Niger la mdia si è abbassata a 41. “In questa zona abitano più di 31 milioni di persone – ha spiegato Christine Weis di Amnesty Italia – di cui oltre il sessanta per cento vive di agricoltura e pesca. Ma lo sfruttamento del petrolio ha avvelenato la terra. Nella nostra campagna “Io pretendo dignità” chiediamo alle aziende petrolifere trasparenza, responsabilità, valutazione di impatto ambientale, diffusione delle informazioni e, cosa più importante, la valutazione dell’impatto sui diritti umani”.
Mi fa infuriare l’idea che da noi non si tolleri l’installazione delle pale eoliche e poi non ci si renda conto di quanti danni provoca alla popolazione Nigeriana il (per noi) comodo e pratico petrolio.