Non solo Ilva: ecco tutti gli impianti a rischio

Sono 1142 gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante (Rir) in Italia: ovvero stabilimenti e impianti industriali che, in caso di incidente, potrebbero compromettere e danneggiare irrimediabilmente l’ambiente circostante. E che rappresentano un potenziale pericolo per la sicurezza della popolazione che vive nel territorio. A svelarlo è un rapporto dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, elaborato in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente.

Il pericolo correlato a questi impianti viene spesso identificato come “rischio Seveso”, richiamando alla mente il disastro ambientale del 1976, che causò la fuoriuscita di una nube tossica di diossina che investì una vasta area di territori della bassa Brianza, in seguito all’esplosione in un reattore chimico. L’incidente indusse i paesi della comunità europea a elaborare una normativa, la direttiva Seveso, volta proprio a evitare che si verificassero simili eventi in futuro.

Si sente parlare spesso di Ilva a Taranto, ma i comuni italiani con stabilimenti a rischio Seveso sono ben 756, e in 40 di questi ci sono quattro o più impianti Rir, ognuno dei quali rappresenta un potenziale fattore di rischio ambientale. Il 50% degli stabilimenti Rir, spiega il rapporto, si trova distribuito tra quattro regioni del nord Italia, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte, mentre La Valle d’Aosta, con soli 6 stabilimenti, è invece la regione che ne ha di meno. In quasi tutte le province italiane poi c’è almeno uno stabilimento Rir, ma il primato va a Milano per quanto riguarda il nord Italia, con 69 stabilimenti, nel centro a Roma, con 26 stabilimenti, e al sud a Napoli, che sul territorio ne conta 33. Aree di particolare concentrazione sono state individuate in corrispondenza di tradizionali poli di raffinazione e/o petrolchimici.

Per quanto riguarda le tipologie di stabilimenti Rir più diffuse, il primato va a chimici e petrolchimici, che rappresentano il 25% del totale e sono concentrati in particolar modo nel nord Italia, seguiti da depositi di gas liquefatti come il Gpl (24%) soprattutto in Campania e in Sicilia. In prossimità di grandi aree urbane e nelle città con importanti porti industriali, come Genova e Napoli, risultano molto concentrate anche industrie della raffinazione e depositi di oli minerali.

Il rapporto non ha analizzato solo il numero di stabilimenti Rir, ma anche le tipologie e le caratteristiche di quelli individuati, quali appunto la distanza da corpi idrici superficiali come fiumi, laghi e torrenti, il rischio sismico associato agli impianti e i quantitativi di sostanze pericolose per l’ambiente detenute. Emerge così come i prodotti petroliferi come benzina, gasolio e cherosene sono presenti in modo cospicuo su tutto il territorio nazionale, insieme a metanolo, cloro, formaldeide, triossido di zolfo e nitrati di ammonio e potassio lasciati dai fertilizzanti. Circa il 22% degli stabilimenti Seveso notificati inoltre, e soggetti ai controlli previsti dalla normativa, detengono prodotti classificati come pericolosi per l’ambiente in quantità superiore alle soglie consentite. Ma non solo: queste sostanze si trovano entro 100 metri da un corpo idrico superficiale (circa il 46% per i prodotti petroliferi regolarmente notificati).

L’edizione precedente del Report analizzava i dati tra il 2007 e il 2012, ed è stata utilizzata per un confronto così da individuare le regioni più virtuose che avevano effettuato le riduzioni maggiori nel numero di stabilimenti Rir. Le vincitrici risultano essere principalmente regioni del centro sud, Lazio e Umbria, a fronte di un Nord che in alcuni casi, come Piemonte, Liguria, Veneto e Friuli Venezia Giulia, ha invece presentato un aumento nel numero di impianti.

Rispetto al rapporto precedente, inoltre, è aumentato significativamente il numero di stabilimenti per il trattamento superficiale e la lavorazione dei metalli, dei depositi di esplosivi e degli impianti di trattamento e recupero. Sensibilmente calato infine è il numero dei depositi di oli minerali (da 271 nel 2004 a 110 nel 2012) e delle centrali termoelettriche, che si sono più che dimezzate.

Riferimenti e credits immagine: Ispra

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