Arriva alla vigilia del verdetto, che dovrà essere emesso dal tribunale di Tripoli il 19 dicembre, l’ennesima prova scientifica a favore dell’innocenza dei cosiddetti sei di Tripoli, le cinque infermiere bulgare e il medico palestinese accusati di avere volontariamente infettato con l’Hiv 400 bambini dell’ospedale pediatrico Al-Fateh di Bengasi presso cui lavoravano. È quella che viene dai risultati dell’analisi condotta da Carlo Federico Perno del dipartimento di medicina sperimentale e scienze biochimiche dell’Università di Roma Tor Vergata pubblicata su Nature.
Lo studio del ricercatore italiano, condotto in collaborazione con Giovanni Rezza dell’Istituto Superiore di Sanità, Vittorio Colizzi, e Guido Castelli Gattinara dell’Ospedale Bambino Gesù dimostra quanto già era stato acclarato da precedenti ricerche: che il ceppo del virus dell’Aids HIV-1 e quello del virus per l’epatite C (Hcv) erano presenti nell’ospedale prima dell’arrivo del personale straniero avvenuto nel marzo 1998. Molto probabilmente a causa delle cattive condizioni igieniche in cui i pazienti venivano tenuti.
I sei operatori sanitari, che si trovano in carcere da più di sette anni, sono stati dapprima condannati a morte da un tribunale di Bengasi, sentenza poi annullata dalla Corte Suprema libica. A favore della scarcerazione dei sei si sono pronunciati diversi scienziati con appelli sottoscritti su riviste internazionali e lettere inviate al colonnello Gheddafi. Ora non resta che aspettare il 19 dicembre. (l.g.)