Salutari, rinfrescanti e ricchi di sali minerali: è così che le pubblicità descrivono gli sport drinks, bibite come il Gatorade o il Powerade, la bevanda sportiva ufficiale delle Olimpiadi di Londra. Non sempre però ci si dovrebbe fidare delle pubblicità. Infatti, un’indagine del British Medical Journal (Bmj), svolta in collaborazione con Bbc Panorama, svela oggi l’“incredibile mancanza di prove” a sostegno della presunta capacità di molte di queste bevande di migliorare le performance sportive, sottolineando come questo renda impossibile una scelta informata da parte dei consumatori.
L’indagine, opera della giornalista Deborah Cohen, si basa soprattutto sui risultati di uno studio dei ricercatori dell’Università di Oxford e pubblicato su Bmj Open, portale open access della rivista inglese. Gli studiosi hanno preso in esame i siti internet di 104 prodotti sportivi, tra cui sport drinks, scarpe e integratori proteici, per valutare le prove scientifiche a supporto dei loro slogan pubblicitari. Il risultato è stato che solo il 2,7 per cento dei 74 studi valutabili sono scientificamente affidabili, una circostanza che i ricercatori definiscono “preoccupante”, richiamando l’attenzione sulla necessità di ulteriori ricerche nel campo.
“Alcuni scienziati sponsorizzati dalle aziende permettono il diffondersi di messaggi fuorvianti spacciandoli per consigli medici”, spiega la giornalista. Secondo Cohen, i produttori di sport drinks sono riusciti ad influenzare l’opinione pubblica sfruttando l’immagine dei grandi organismi sportivi, come il Comitato Olimpico e le diverse federazioni nazionali, e facendo così passare il messaggio che il consumo dei loro prodotti sia da preferire a quello dell’acqua per l’attività fisica.
Queste trovate pubblicitarie ingannevoli hanno contribuito a creare un mercato che si stima arriverà a valere circa 1,6 miliardi di dollari entro il 2016. Atleti, professionisti e non, sono infatti spinti da spot e slogan ad assumere bevande cosiddette “reidratanti” anche quando non hanno necessità di liquidi e non avvertono lo stimolo della sete. “La sete è il miglior segnale del bisogno di assumere liquidi”, commenta in un editoriale Tony Delamothe, “eppure gli atleti sono stati convinti che non sia un segnale affidabile della disidratazione, portando alla creazione di un’industria miliardaria fondata su della semplice acqua aromatizzata”.
Il problema, secondo il ricercatore inglese, è il metodo con cui l’European Food Safety Authority (Efsa) regolamenta il mercato dei prodotti sportivi in Europa. “Spesso si affida a ricerche veramente insufficienti, fornite dalle stesse industrie produttrici”, dice Thompson, che auspica invece l’adozione di un approccio più scientifico e rigoroso.
Il rischio comunque non è solo quello di sprecare soldi in un prodotto inutile. Matthew Thompson, ricercatore del team di Oxford, è preoccupato anche dall’effetto che questi drink possano avere sulla salute dei più giovani, tra i quali sono in aumento obesità e sovrappeso. “Dire che queste bevande fanno bene alla salute potrebbe contrastare pratiche realmente salutari come fare più esercizio fisico, giocare di più a pallone o andare più spesso in palestra”, ha dichiarato Thompson.
Per ora”, si legge nell’indagine, “le uniche prove scientifiche a disposizione portano a una ricetta semplice ed economica per restare in forma: seguire una dieta bilanciata, bere acqua, comprarsi un paio di comode scarpe da ginnastica e cominciare fare una regolare attività fisica”.
Riferimenti: Bmj Open doi:10.1136/bmjopen-2012-001702
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