
Che l’omeopatia non abbia sull’essere umano un’efficacia superiore al placebo è ormai un dato certo. Sugli animali, specialmente quelli da allevamento, la scienza non si ancora espressa in maniera definitiva. Uno studio condotto in Germania e pubblicato di recente su Veterinary Record ha però di nuovo ribadito che non esistono evidenze sufficienti o studi affidabili secondo i quali sia possibile raccomandare rimedi omeopatici nel trattamento o nella prevenzione delle malattie infettive.
Non si tratta solo di “insufficienza di prove”, per usare un termine legale perché, anche quando qualche evidenza sembra essere stata riportata, l’affidabilità degli studi che le hanno ottenute è stata infatti pregiudicata da difetti sia nella progettazione che nella raccolta di dati. I ricercatori tedeschi hanno verificato che tutti gli studi sono stati condotti in condizioni molto specifiche e quindi non ripetibili in altri esperimenti.
Gli autori hanno preso in esame 48 ricerche in peer review condotte su bovini, suini e pollame e pubblicate tra il 1981 e il 2014. Complessivamente si tratta di una quantità considerevole di dati, estratti da 52 trial clinici. Di questi, 34 sono stati condotti sui bovini, 12 sui maiali e sei sui sul pollame.
La maggior parte dei trattamenti cercava di ricorrere ad alternative agli antibiotici nella terapia e nella prevenzione delle infezioni batteriche. In 28 casi gli studi hanno permesso di affermare che l’omeopatia era stata efficace mentre in tutti gli altri casi non è stata registrata alcuna differenza rispetto al placebo. Gli studi condotti in doppio cieco si sono pronunciati a favore in metà dei casi, con un’altra metà che invece non ha registrato nessun effetto.
La percentuale più rilevante di successo della terapia è stata osservata nei casi in cui il veterinario sapeva cosa stava somministrando. Questo, secondo gli scienziati tedeschi, suggerisce che i risultati potrebbero essere stati influenzati. Inoltre la maggior parte delle indagini era gravata da potenziali conflitti di interesse, esiguità del campione di animali preso in esame e, in più, sempre secondo gli autori, esiste il rischio che siano stati riportati selettivamente solo i dati positivi, ignorando quelli a sfavore della tesi che si voleva dimostrare.
La conclusione del team è stata quindi che gli studi che dovranno essere condotti in futuro avranno bisogno di maggiore accuratezza dal punto di vista scientifico e metodologico.