La chiamavano “Attrice della nazione”. Era considerata una delle migliori interpreti della Corea del Sud. Il suo vero nome era Choi Jin-sil, e aveva recitato in 18 film, 20 serie televisive e 140 spot pubblicitari. Gloria e ricchezza non le servirono: Choi si suicidò nella sua casa di Seoul il 2 ottobre 2008, a soli 39 anni. Un gesto estremo che, purtroppo, ebbe conseguenze ancora più drammatiche, come ha appena svelato uno studio dei ricercatori della Chung-Ang University, pubblicato sulla rivista Suicide and Life-Threatening Behavior. Gli scienziati hanno analizzato la copertura mediatica dell’evento, mostrando che il numero di articoli sui giornali e servizi televisivi legati al tema suicidio è aumentato di circa 80 volte nella settimana successiva alla morte di Choi. Non solo: quasi la metà degli articoli violavano le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità sulla copertura mediatica responsabile dei suicidi, che prevedono, tra le altre cose, di evitare la sovraesposizione alla notizia, l’uso di un linguaggio sensazionalistico e la descrizione dettagliata delle modalità del suicidio. I ricercatori hanno evidenziato, nel corso delle quattro settimane successive al gesto dell’attrice, circa 430 suicidi in eccesso rispetto alla media. Tutta colpa del cosiddetto copycat effect, o effetto emulazione, come vi avevamo già raccontato in tempi non sospetti. Era il 2012, quarto anno della crisi economica globale. Numeri alla mano, dimostrammo come, nonostante la maggior parte dei media allora sostenesse il contrario, non si potesse parlare di un aumento statisticamente significativo dei suicidi in Italia. Come dicevamo allora – e come conferma lo studio dei ricercatori coreani – le esagerazioni mediatiche sono pericolose: “Studi epidemiologici internazionali dimostrano con certezza che le notizie dei suicidi da crisi economica, se presentate in modo sensazionalistico, inducono altri suicidi, innescando un pericoloso ‘effetto domino’”, ci aveva detto Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano.
(Tra l’altro, non serve andare troppo lontano nel tempo. Meno di un mese fa, avevamo affrontato un discorso simile dopo la tragica fine di Robin Williams, quando il Daily Mail se ne uscì con una copertina quantomeno discutibile – per non dire di pessimo gusto – puntualmente bacchettata da Village Voice Blogs).
Sul tema suicidi e strategie di prevenzione si è appena espressa l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha pubblicato il primo rapporto globale sulla prevenzione del suicidio, chiedendo, tra le altre cose, un’azione coordinata da parte dei governi di tutto il mondo e, per l’appunto, un comportamento più responsabile da parte dei mass media. L’obiettivo dichiarato dell’Oms è quello già espresso nel Piano d’azione per la salute mentale 2013-2020: ridurre il tasso di suicidi del 10% entro i prossimi sei anni.
Partiamo, anzitutto, dai dati. Da quando avete iniziato la lettura – supponiamo siano passati tre minuti – quasi tre persone si sono tolte la vita, da qualche parte nel mondo: l’Oms registra un suicidio ogni quaranta secondi, per un totale di 800mila l’anno. Il 75% di essi avvengono in paesi a basso e medio reddito. I metodi più comuni, sempre a livello globale, sono avvelenamento, impiccagione e uso di armi da fuoco. I tassi di suicidio sono più alti negli ultrasettantenni, sebbene in alcuni paesi si riscontrino tassi più alti tra i giovani; in particolare, il suicidio è la seconda causa di morte tra 15 e 29 anni a livello globale. Sono più gli uomini che le donne a scegliere di togliersi la vita: nelle nazioni ricche, il rapporto è di uno a tre. Gli uomini dai 50 anni in su sono particolarmente vulnerabili, secondo il report. Nei paesi a basso e medio reddito, i giovani adulti e le donne anziane hanno tassi più alti di suicidio rispetto ai loro omologhi; le donne oltre i 70 anni sono esposte al rischio il doppio rispetto alle donne tra 15 e 29 anni.
Il messaggio più importante del report, comunque, è che il suicidio si può prevenire. “Il nostro lavoro”, spiega Margaret Chan, direttore generale dell’Oms, “è un appello all’azione per risolvere un grande problema di salute pubblica avvolto per troppo tempo nel tabù”. La prima strategia di prevenzione, secondo gli esperti, è la limitazione all’accesso ai mezzi usati per il suicidio, armi da fuoco in primis. E poi l’identificazione e la gestione precoce dei disturbi mentali e dell’abuso di farmaci e sostanze stupefacenti da parte degli operatori sanitari. Il follow up dei soggetti che hanno già tentato il suicidio, inoltre, è uno strumento essenziale, dal momento che questi ultimi sono a più alto rischio di recidiva.
L’Oms, inoltre, raccomanda ai governi di impegnarsi in strategie mirate nel settore della sanità, dell’istruzione, dell’occupazione, del benessere sociale e della giustizia, evidenziando come attualmente solo 28 paesi in tutto il mondo stiano attuando strategie nazionali di prevenzione del suicidio. Veniamo, infine, al capitolo dedicato ai mass media: “Le pratiche di copertura mediatica inappropriate”, si legge nel report, “possono sensazionalizzare e rendere ‘alla moda’ il suicidio, aumentando così il rischio emulazione tra le persone vulnerabili. Le pratiche sono inappropriate quando parlano ‘gratuitamente’ di suicidi di celebrità, raccontano metodi insoliti di suicidio o di suicidi di massa, mostrano immagini o informazioni sui metodi usati, o normalizzano il suicidio come risposta accettabile alla crisi o alle avversità”. Qual è il comportamento appropriato? “Usare un linguaggio responsabile, evitare le semplificazioni eccessive, educare la cittadinanza sul suicidio e sulle terapie disponibili, fornire indicazioni su dove trovare aiuto”.
Un po’ di colpa ce l’ha anche la rete. “Internet, oggi, è la fonte principale di informazioni sul suicidio e contiene siti facilmente accessibili che possono essere inappropriati in quanto a trattazione del tema. I siti internet e i social media sono stati implicati nell’incitamento e nell’agevolazione di comportamenti suicidi. Le persone possono addirittura facilmente mandare in onda atti di suicidio senza censura e informazioni facilmente accessibili”. Internet toglie, internet dà: “I migliori esempi di prevenzione online”, si legge ancora nel rapporto, “sono chat online con professionisti, programmi di auto-aiuto e terapie online”.
Credits immagine: Aman Deshmukh/Flickr
Via: Wired.it