Riecco le onde gravitazionali

Onde gravitazionali

Dopo le osservazioni del 2015, in cui per la prima volta sono state rilevate delle onde gravitazionali, vere e proprie increspature nello spazio-tempo la cui esistenza era stata predetta da Einstein, LIGO (Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory) torna al centro dell’attenzione con una terza osservazione del fenomeno. Nello studio, pubblicato su Physical Review Letters, gli scienziati spiegano come, esattamente come nelle prime due rilevazioni, anche in questo caso le onde sarebbero state generate dalla collisione di due buchi neri, dando origine a un unico buco nero con massa pari a circa 49 volte quella del Sole.

“Questo conferma ulteriormente l’esistenza di buchi neri con masse superiori a 20 volte quella del Sole,” ha aggiunto David Shoemaker, che ha preso parte alla ricerca, “Si tratta di oggetti che non sapevamo esistessero prima che LIGO li rilevasse. È affascinante come gli esseri umani siano in grado di mettere insieme una teoria, e verificarla, per eventi estremi che sono avvenuti miliardi di anni fa, e a miliardi di anni luce di distanza da noi”.

Le nuove scoperte sono avvenute durante il nuovo periodo di operazione di LIGO, cominciato lo scorso novembre e che si prolungherà fino alla fine dell’estate. I due rilevatori utilizzati dal progetto sono collocati a Hanford nello stato di Washington e a Livingston in Louisiana.

I ricercatori hanno spiegato che le collisioni tra buchi neri sono eventi estremamente energetici, in grado di produrre più energia di quella emessa sotto forma di luce da tutte le stelle e galassie dell’Universo. I buchi neri coinvolti nella scoperta sono collocati a circa 3 miliardi di anni luce di distanza, mentre nelle rilevazioni del 2015 erano situati rispettivamente a 1,3 e 1,4 miliardi di anni luce. Le osservazioni hanno anche fornito preziose informazioni riguardo la rotazione dei buchi neri: in un sistema binario, infatti, oltre ad orbitare l’uno attorno all’altro ruotano anche rispettivamente sui propri assi. Questa rotazione può avvenire nella stessa direzione della rivoluzione, un fenomeno che gli astronomi chiamano spin allineati, o nel verso opposto. In questo caso, i dati ottenuti sembrano indicare, per la prima volta, che almeno uno dei buchi neri coinvolti nella collisione stesse ruotando in verso opposto al movimento orbitale, un risultato che potrebbe aiutare gli scienziati a fare luce sull’origine di questi sistemi.

“Stiamo iniziando a raccogliere dati statistici sui sistemi binari di buchi neri,” ha spiegato Keita Kawabe, co-autrice dello studio, “Questo è interessante perché favorisce alcuni modelli sulla formazione di questi sistemi rispetto ad altri.”

Ci sono infatti due teorie che spiegano la nascita dei sistemi binari di buchi neri: nella prima, i buchi neri nascono insieme, formandosi quando ognuna delle due stelle di un sistema binario esplode e continuando a ruotare nella stessa direzione generale dell’orbita; nella seconda, favorita dai risultati ottenuti da LIGO, i due buchi neri si formano separatamente e danno origine a un sistema binario dopo essersi avvicinati, all’interno di un ammasso stellare, e in questo caso i loro spin possono quindi essere disallineati.

Lo studio, infine, fornisce un’ulteriore conferma della teoria della relatività generale di Einstein, secondo cui un effetto chiamato dispersione (che avviene quando le onde di luce viaggiano a diversa velocità all’interno di un mezzo a causa della differenza delle propria lunghezze d’onda, come ad esempio quando si usa un prisma per fare un arcobaleno) non può avvenire nel caso delle onde gravitazionali: i dati raccolti di LIGO sembrano infatti indicare l’assenza di questo fenomeno. “Sembra che Einstein avesse ragione, anche per questo evento che è a quasi il doppio della distanza delle nostre prime rivelazioni,” ha concluso Laura Cadonati, che ha preso parte alla ricerca, “Non abbiamo osservato deviazioni dalle predizioni della relatività generale, e la maggiore distanza ci rende più sicuri nella nostra affermazione.”

Riferimenti: Physical Review Letters

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