È proprio di questi giorni la pubblicazione del Rapporto CeDAP 2016 con gli ultimi dati a disposizione sul tema nascite in Italia, i cui risultati attestano, ancora una volta, un eccessivo ricorso al parto con taglio cesareo. Se è a volte si rivela una scelta necessaria per salvare la vita al bambino e/o alla sua mamma, in altri casi non si tratterebbe di una decisione giustificata dalle esigenze mediche. E non senza ripercussioni. Uno studio del Wellcome Sanger Institute del Regno Unito, pubblicato sull’ultimo numero di Nature, conferma infatti come il parto cesareo tenda a modificare il microbiota intestinale dei neonati e a renderlo più facile preda di batteri opportunisti potenzialmente associati a malattie del periodo neonatale o della prima infanzia.
Lo studio più ampio mai realizzato sul tema
La ricerca britannica, parte del progetto Baby Biome Study, è tra le più ampie mai condotte fino ad ora e ha coinvolto 596 bambini nati nei tempi negli ospedali del Regno Unito, 282 nati tramite taglio cesareo e 314 nati con parto naturale. Questi bambini sono quindi stati seguiti nel tempo, con analisi compiute inizialmente durante il periodo neonatale (entro il primo mese dalla nascita) e successivamente a qualche mese di distanza, (quando i bambini avevano 8-10 mesi, per circa 300 bambini).
Microrganismi buoni e cattivi. Lotta per il territorio nei neonati
Nei campioni fecali dei bambini nati con parto naturale è stata riscontrata un’elevata prevalenza di cosiddetti batteri commensali, quali Bacteroides, Escherichia, Bifidobacterium e Parabacteroides spp., con ogni probabilità trasmessi dalla mamma (anche se si trovano nell’ambiente, infatti, la trasmissione materna è la più plausibile in questo caso) al primo campionamento. Questi batteri non sono nocivi per il bambino né la loro presenta comporta particolari vantaggi, ma svolgono il compito fondamentale di colonizzare per primi l’intestino, occupando fisicamente il “territorio”, proliferando e quindi superando in numero gli eventuali microrganismi portatori di malattie. Tra i bambini nati da parto cesareo, invece, questi batteri (prendendo i Bacteroides come riferimento) erano pressoché assenti ed erano stati sostituiti da specie innocue molto comuni in ambito ospedaliero ma anche da batteri responsabili di infezione (quali ad esempio batteri del cosiddetto gruppo ESKAPE: E. faecium, Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter baumannii, Pseudomonas aeruginosa and Enterobacter spp.).
Al successivo campionamento, quando i bambini avevano già qualche mese, i batteri commensali materni nei bambini nati da cesareo continuavano a non essere presenti.
Attenzione al rischio di infezioni nei neonati
La ricerca ha inoltre evidenziato la presenza tra i batteri patogeni opportunisti di ceppi particolarmente virulenti e resistenti agli antimicrobici (come la Klebsiella), per fortuna non epidemici. Un dato però da non sottovalutare, commentano gli autori nel paper: “Quanto abbiamo osservato sottolinea il ruolo critico svolto dall’ambiente nella formazione del microbiota intestinale nei primi momenti di vita, e identifica la colonizzazoone con patogeni resistenti ad antimicrotici come un fattore di rischio sottovalutato per le nascite in ospedale”. Anche se, concludono i ricercatori, serviranno ulteriori studi per capire che impatto abbia realmente sulla salute questa variazione del microbiota intestinale dipendente dal parto.
Riferimenti: Nature