Passione per il caffè, tutta colpa di un gene

Caffè
(Immagine: Pixabay)
Caffè
(Immagine: Pixabay)

Non riuscite a resistere (come da italico cliché) a una tazzina di espresso? La colpa, probabilmente, sta tutta nei vostri geni. È quanto sostiene un’équipe di ricercatori dell’Università di Edimburgo, dell’Università di Trieste, dell’ospedale pediatrico Burlo Garofolo e di altri istituti, coordinati dall’italiano Nicola Pirastu, che ha appena scoperto, per l’appunto, un legame tra una particolare variante genetica e la passione per il caffè. I risultati della ricerca, cui ha partecipato – senza alcun coinvolgimento economico – anche Illy, sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports.

“Il caffè”, scrivono gli scienziati, “è una delle bevande più consumate al mondo e la prima fonte di assunzione di caffeina. Dato il suo importante impatto sull’economia e sulla salute, gli aspetti relativi al legame tra genetica e consumo di caffè sono stati oggetto di numerosi studi, anche se resta ancora molto da scoprire. Nel nostro lavoro, abbiamo condotto uno studio di associazione genetica in due popolazioni italiane per identificare varianti collegate alla dipendenza dalla sostanza”. In particolare, l’équipe ha chiesto a 1213 volontari italiani (370 di Carlantino, in Puglia, e 843 di sei paesi del Friuli Venezia Giulia) e ad altrettanti volontari olandesi quante tazzine di caffè consumassero ogni giorno. Tali informazioni sono state poi incrociate con quelle relative al genoma dei volontari, il che ha evidenziato una relazione inversa tra la presenza di una variante del gene PDSS2 e la passione per il caffè. Secondo l’analisi dei ricercatori, tale variante controllerebbe un altro gene, specializzato nel regolare il metabolismo della caffeina: in presenza della variante, la sostanza viene smaltita più lentamente dall’organismo, il che fa sì che non si senta il bisogno di bere altro caffè.

“Il risultato dello studio”, ha detto Pirastu all’Ansa, “suggerisce che la tendenza a bere più caffè sia regolata dai geni, come già ipotizzato da ricerche passate”. Per confermarlo, i ricercatori hanno intenzione di allargare lo studio a un campione più vasto di individui.

Via: Wired.it

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