Si è aperta l’asta per i beni italiani. In vendita litorali, spiagge, monumenti poco conosciuti e perfino la laguna di Venezia. Da ieri infatti la manovra dell’ormai soprannominata ‘finanza creativa’ messa a punto dal Ministro dell’Economia Giulio Tremonti per arginare il deficit dello Stato è diventata legge. Anche il Senato, infatti, ha approvato il testo di conversione del decreto legge n. 63 del 2002, già discusso dalla Camera. Senza nessuna modifica rilevante. Sono rimaste inattese le aspettative del cartello delle 15 associazioni ambientaliste e di tutela dei beni culturali, tra cui Fai, Greenpeace, Lipu, Lav, Wwf e Legambiente, che hanno tentato di arginare le conseguenze del provvedimento ‘salva–deficit’, proponendo in extremis cinque modifiche per non mettere a rischio i beni comuni. Criticato anche dalla Corte dei conti “per il radicale affidamento esterno dell’intera gestione del patrimonio mobiliare e immobiliare dello Stato”, il decreto legge nelle intenzioni di Tremonti deve servire a migliorare i conti pubblici italiani di circa 730 milioni di euro in tre anni, attraverso misure discutibili. Ecco dunque i punti caldi della legge. Sono gli articoli 7 e 8 del Dl appena convertito, che prevedono l’istituzione di due società la Patrimonio dello Stato Spa (posseduta e gestita dal Ministro dell’Economia) e la Infrastrutture Spa (gestita dalla Cassa depositi e prestiti, una società appositamente istituita per agevolare il finanziamento di opere pubbliche coinvolgendo anche capitali privati). Le due società dovrebbero “valorizzare, gestire e alienare” l’intero patrimonio dello stato e finanziare quindi le infrastrutture. “Il rischio è una svendita del patrimonio storico, artistico e ambientale del nostro Paese”, hanno più volte ripetuto le associazioni che in questi mesi si sono fermamente opposte al provvedimento. In base alla legge, la Patrimonio Spa può infatti vendere i beni demaniali e gli immobili dello Stato. Non di certo il Colosseo o Fontana di Trevi – anche perché, come ha ironizzato il Ministro della cultura Giuliano Urbani, quelli sono già stati venduti rispettivamente da Aldo Fabrizi e Totò – ma laghi, tratti di costa e perfino la laguna veneta possono essere messi in vendita. Inoltre il provvedimento non prevede forme di garanzia per i beni, e il ministro dell’Ambiente non è nemmeno chiamato a esprimere un parere per quelli di sua competenza. Di fatto, la legge approvata prevede che d’intesa con il Ministero dei Beni culturali venga fissato un elenco per individuare i beni storici e artistici che possono essere trasferiti alla Patrimonio Spa, senza che il ministero possa esprimere nessun parere sui mezzi per ‘valorizzarli’. Peggiore è la situazione dei beni demaniali, perché in questo caso il Ministero dei beni culturali non ha nessun potere di veto. Le aree protette nazionali e siti di interesse comunitario, poi, possono essere trasferiti alla Patrimonio Spa senza che il Ministero dell’Ambiente e del Territorio venga minimamente coinvolto. Non solo, regioni ed enti locali vengono completamente scavalcati dal provvedimento, in barba a ogni tendenza federalista sostenuta dallo stesso governo. A questo punto quali rischi concreti corrono i beni ceduti? Dopo il trasferimento, la Patrimonio Spa aliena i beni, e per gli enti pubblici non è previsto nessun diritto di prelazione sull’acquisto. E se le società private che gestiscono un bene dovessero fallire? I beni alienati, in questo caso, potrebbero essere ipotecati da banche e istituti di credito. Con il tacito consenso del Ministro Urbani, la legge è stata approvata. Comunque, già nella precedente legislatura il governo di centro-sinistra aveva approvato un provvedimento per la privatizzazione del patrimonio dello Stato, anche se quel testo prevedeva delle tutele maggiori per i beni patrimoniali. Questa volta invece il governo Berlusconi ha preferito utilizzare la scorciatoia del decreto legge per una materia in cui mancavano i requisiti richiesti dalla stessa forma del provvedimento, ovvero la necessità e l’urgenza. “Perché dunque non prendersi il tempo necessario per elaborare una norma più garantista?”, chiedono le associazioni. Come ha rilevato, poi, la Corte dei Conti, il caso italiano è unico: in nessun paese Ocse si riscontra un affidamento ai privati così radicale dell’intera gestione del patrimonio mobiliare e immobiliare dello Stato. Che cosa resta da fare adesso? Il provvedimento solleva dubbi di costituzionalità in base all’articolo 9. Che recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Le associazioni, quindi, chiederanno l’intervento del Presidente della Repubblica, che aveva già espresso ufficialmente delle preoccupazioni per la parte del decreto relativa al trasferimento dei beni dello Stato. E se non servisse si appelleranno anche alla Commissione Europea.