La scienza non fa riferimento unicamente alla realtà scientifica. Essa si sviluppa in un contesto socio-storico, economico, culturale, ed è attraversata da dinamiche che la sovrastano. La sua organizzazione, gli scopi che si prefigge, l’uso che viene fatto dei suoi risultati, fanno riferimento a condizioni e a motivazioni che si trovano fuori dal contesto scientifico. D’altronde, è stato possibile, in nome della scienza e sotto la sua garanzia, produrre argomenti cosiddetti scientifici che dimostravano I’inferiorità di un sesso o di una razza, el’impossibilità per essi di accedere ad alcune forme di espressione. Questa impossibilità, smentita dai fatti, ha rivelato fino a che punto il giudizio – anche quello scientifico – possa essere appesantito dalla zavorra dei pregiudizi.
Non riprenderò qui l’esame delle procedure teoriche e pratiche attraverso cui un sesso ha tentato di annettere la ragione a suo unico profitto, concedendo, nel migliore dei casi, all’altro sesso il possesso di alcune qualità di sensibilità sempre un po’ vacue. Per molto tempo queste procedure avevano l’obiettivo di evitare che le ragazze usufruissero di una qualsivoglia formazione intellettuale, concentrando la trasmissione del sapere in istituzioni da cui erano escluse. Esse in effetti non potevano studiare, poiché erano private della ragione, ed erano private della ragione poiché che non potevano studiare.
D’altronde, in Occidente, le ultime discriminazioni di questo genere sono state abolite solo da poco. E’ tuttavia facile intuire che anche ciò che non è più istituzionalizzato continua a lasciare tracce profonde nelle mentalità. Ed è proprio all’esame di queste tracce e alle condizioni della loro progressiva cancellazione attraverso iniziative positive che dedicherò queste mie rifiessioni.
Scienze e società
La questione del rapporto tra le donne e le scienze si inserisce nella problematica più generale del rapporto tra le donne e le diverse modalità del sapere e dell’azione. E’ importante quindi collocarla all’interno di questo scenario più vasto e allo stesso tempo sottolinearne la specificità. Questi due approcci sono d’altronde inseparabili.
La fine di questo secolo è in effetti contrassegnata da un profondo sconvolgimento nel rapporto tra i sessi, e questo è senza dubbio l’elemento che verrà ricordato retrospettivamente. Alcuni movimenti di rivendicazione si erano già manifestati in precedenza e, in particolare, nel corso del XIX secolo, durante le lotte per il diritto di voto da parte delle donne. Ma si tratta di movimenti dalle caratteristiche più settoriali. Oggi, è l’insieme di questo rapporto che viene messo in questione, e in tutte le sue forme.
In effetti, durante tutta la storia dell’umanità e in tutte culture, il rapporto tra i sessi è stato strutturato sia dal punto di vista distributivo che gerarchico- come sottolineano ancora oggi gli etnologi, che lo considerano un “invariante”. La scommessa della nostra epoca è stata ed è la possibilità di sconvolgere questa ripartizione, e di far sì che il mondo comune sia un mondo pensato, vissuto ed agito dai due sessi che compongono l’umanità. Scommessa lanciata negli anni ‘70 dal movimento femminista – alla cui immaginazione ed energia dobbiamo qui fare un plauso – scommessa raccolta poco a poco dall’insieme delle donne – collettivamente e/o singolarmente – da alcuni uomini e da alcune istituzioni, comprese quelle potitiche. In effetti, secondo la buona logica democratica, appare oggi sempre più aberrante che la collocazione e la funzione di una metà dell’umanità sia determinata e gestita dall’altra metà. E, secondo la buona logica tout court, appare altrettanto aberrante che l’umanità si privi delle iniziative di una metà di se stessa. Non si tratta di portare tutti gli esseri umani a fare le stesse cose, ma di dare a ogni essere umano delle concrete opportunità di scelta.
La suddivisione tra privato e pubblico e l’attribuzione del privato alle donne e del pubblico agli uomini, secondo un esplicito principio di complementarità, ha tradizionalmente significato, nei fatti, l’attribuzione alle donne dei compiti domestici e di compiti sociali considerati subalterni, e agli uomini l’attribuzione del potere, o di una parte di esso, e soprattutto di una sfera più ampia di esercizio della propria libertà, comprendente il dominio sulla libertà dell’altro.
Possiamo immaginare che una messa in discussione di questa suddivisione sia stata possibile una volta acquisito il controllo sulla fecondità, e non dobbiamo stupirci del fatto che questo obiettivo sia effettivamente stato il primo leit-motiv delle lotte degli anni ‘70. Infatti, il controllo della fecondità non significa negare l’importanza della maternità e della genitorialità, significa invece la possibilità di regolarne l’andamento. Possiamo d’altronde chiederci perché le condizioni scientifiche necessarie a questo tipo di controllo non siano state “scoperte” o sfruttate prima, perché esse non abbiano costituito già precedentemente un obiettivo prioritario. In questa domanda c’è già una conferma dell’interferenza tra motivazioni scientitiche e motivazioni sociali o ideologiche nello sviluppo delle scienze e delle tecniche.
Ad un’umanità plurale, un mondo plurale. Questa affermazione potrebbe certamente applicarsi ad altri tipi di ripartizioni, diverse da quella che ci interessa qui, e in particolare ai rapporti dell’Occidente con il resto del mondo. Ma pur tenendole presenti, vogliamo concentrarci sulla questione della trasformazione della condivisione tra i sessi in seno all’Europa.
Questa trasformazione è così importante che non può non scontrarsi con la resistenza da parte delle strutture e delle mentalità esistenti. Una resistenza che diventa più forte laddove entrano in gioco degli elementi di potere, reali o simbolici, e a volte semplicemente immaginari, e viene agita sostanzialmente da coloro che detengono tale potere. Ma essa viene anche interiorizzata, con altre modalità, dalle donne che si lasciano in qualche modo intimidire dall’importanza del passo che deve essere compiuto. Nell’evoluzione generale, esistono dei punti di arresto.
Il rapporto delle donne con le scienze e le tecniche è uno di questi, e gli osservatori o le osservatrici tendono a pensare che, almeno in Francia, la situazione evolva con molta lentezza. Alcuni o alcune si sbilanciano fino ad affermare che, per certi aspetti e paradossalmente, si può parlare di una forma di regressione dovuta all’abolizione di alcune norme legali e istituzionali che in passato costituivano elementi di condizionamento. Appare evidente l’interesse che può suscitare uno studio generalizzato di questi meccanismi e del confronto con altre realtà, uno studio che tenga inoltre conto dei vari contesti nazionali.
Ci si può stupire di queste forme di arresto, dato che l’accesso a tutti gli ingranaggi del sapere è ormai realtà, anche se in alcuni casi sia avvenuto assai di recente. (Ricordiamo, tra l’altro – perché la memoria è corta – che nei nostri paesi l’università e stata aperta alle donne solo alla fine del XIX secolo, che le accademie scientifiche erano loro precluse, tanto che Marie Curie non poté farne parte e che, in Francia, fino a poco tempo fa le Grandes Ecoles erano esclusivamente maschili, o, nei migliore dei casi, avevano classi sdoppiate in base al sesso, ed e venivano in base a ciò organizzate in forma gerarchica).
Ma sappiamo che se l’abolizione dei divieti legali è indispensabile, essa non elimina tuttavia i divieti di fatto, che sono molto piu profondamente radicati e che richiedono un lungo lavoro di trasformazione delle effettive pratiche e delle mentalità: mentalità degli uomini che pensano sempre di essere i proprietari del mondo, mentalità delle donne che ancora oggi vi si sentono invitate e non se ne considerano membri a pieno titolo. Il nostro impegno deve d’ora in avanti consistere nel capire e superare questi ostacoli.
Immagine della scienza e prassi scientifiche
Il progresso della scienza e delle sue applicazioni, almeno dal XVIII secolo in poi, ha caratterizzato il progresso della modernità occidentale, e ha incontestabilmente favorito il suo dominio sul mondo. Questo progresso è oggi strettamente legato ai poteri economici, quando non ne è condizionato. La politica sembra ormai avere più un ruolo di sponda dei poteri economici anziché esercitare su di un loro un reale governo. A questo riguardo, non possiamo fare altro che prendere atto della situazione, e tentare di intervenire con la nostra vigilanza e la nostra azione. La politica – e con questa parola dobbiamo intendere sia l’istituzione politica che l’impegno di tutti i cittadini – è l’unica forza che può esercitare una funzione regolativa sia su ciò che la sovrasta sia su ciò che essa gestisce direttamente.
Il progresso delle tecno-scienze e il loro impatto sulla trasformazione del mondo e sulla vita quotidiana non deve tuttavia indurci a mitizzare la Scienza (con la s maiuscola) e a trasformare ogni scienziato in un demiurgo. Ciò significherebbe cedere a un neo-positivismo tanto fallace quanto pericoloso. Si tratta, al contrario, di smitizzare questa immagine, tra l’altro ampiamente mediatizzata, e di ricordare che dietro la scienza ci sono degli uomini – uomini e donne – con le loro scelte etiche e politiche. In caso contrario, l’umanità annullerebbe se stessa nell’irresponsabilità di un destino meccanicistico e si rassegnerebbe al fatto che “l’uomo sia diventato superfluo”, secondo la formula di Hannah Arendt, che riassume in questo modo la terribile rivelazione dei totalitarismi del nostro secolo che hanno prodotto genocidi: superfluo come un semplice fuscello, preso nell’inesorabile ingranaggio della Legge della Natura o della Storia, una mosca che si può schiacciare.
Cedere all’ideologia prometeica dell’uomo – lo scienziato – maestro dell’universo, significa d’altronde disconoscere il fatto che le innovazioni scientifiche o gli interventi tecnici sul mondo producono assai spesso delle reazioni assolutamente impreviste, imprevedibili o in ogni caso trascurate. In questa padronanza riemergono così nuove dipendenze. Il progresso produce alcuni effetti nocivi che richiedono un nuovo intervento. In un certo senso, lo scienziato non sa mai veramente quello che fa. In un certo senso egli gioca.
Il fantasma di un Soggetto che si presuppone dotato di sapere è una delle forme e delle condizioni più importanti del mantenimento del predominio. Esso contribuisce, tra l’altro, a tenere a distanza un buon numero di ragazze che ancora oggi, malgrado le apparenze e diversamente dai ragazzi, hanno di se stesse e delle loro capacità una rappresentazione generalmente inferiore alle loro capacità reali – spesso incoraggiate in ciò dal loro contesto ambientale.
Isabelle Stengers lo ha ricordato molto bene: dobbiamo prima “imparare di nuovo a ridere”, ricordandoci che ciò che si fissa nel concetto unitario della Scienza con la s maiuscola è il lavoro quotidiano e capillare degli scienziati, a tutti i livelli gerarchici, e che è questo lavoro di tutti i giorni che ridefinisce i limiti del razionale.
Specializzarsi in scienze o optare per gli studi scientifici non significa pretendere di essere dei geni. Nelle scienze, come nelle lettere, i geni sono rari e i dilettanti e gli sgobboni sono molto numerosi. Non possiamo pretendere che ogni scienziato sia un Einstein. Non tutti gli uomini di lettere sono Proust… Se fosse necessario essere Proust o Einstein per incominciare, nessuno comincerebbe. Il grande uomo di lettere è altrettanto raro del grande scienziato. Bisogna quindi semplicemente scegliere la propria area di gioco.
La contrapposizione e la gerarchizzazione tra scienziati e uomini di lettere, che si è accentuata nel corso dell’ultimo quarto di secolo, rispecchia forse lo stato della società e dei suoi bisogni, ma ha costituito in ogni caso una procedura ufficiosa di discriminazione. Nel curriculum di studi francese questa procedura ha sostituito quella che precedentemente considerava sacra la filosofia. L’idea secondo cui le ragazze sarebbero più dotate per le lettere a causa della loro sensibilità naturale fa parte di un dispositivo, consapevole o inconsapevole, di esclusione. Potremmo in effetti interrogarci non solo sulla naturalità della cultura della sensibilità, ma anche sull’adeguatezza di questa sensibilità rispetto alla decodificazione e comprensione dei testi. E anche pensare che questa suddivisione sessuata delle capacità sia soprattutto un modo per spingere le ragazze verso la disoccupazione o verso piccoli lavori, più compatibili con le esigenze tradizionali della cura della casa.
Il carattere artificiale – e reversibile – di questa contrapposizione mi è balzato agli occhi nel momento in cui, dovendo scrivere un libro, ho fatto un’inchiesta tra le ragazze che avevano scelto il percorso scientifico. Una di loro, che stava terminando brillanti studi universitari di matematica grazie al sostegno del suo maestro prima e del suo professore di liceo poi, era la figlia di una coppia di panettieri, poco scolarizzati, che avevano sempre vissuto in un piccolo paese. Alla mia domanda del perché avesse scelto le scienze matematiche rispose, con mia grandissima sorpresa, che lo aveva fatto perché la matematica era piu facile del francese. In effetti, non sostenuta da alcuna tradizione culturale del proprio ambiente, questa ragazza godeva di una sorta di freschezza paritaria di fronte alle materie scolastiche che le erano state proposte; era forse anche un po’ svantaggiata dal punto di vista della lingua e della scrittura. I segni le erano più familiari delle parole o dei libri.
Tra parentesi, bisogna sottolineare che nella linea di condivisione tra ragazzi e ragazze non è implicata solo la scienza in tutta la sua ampiezza, ma anche l’insieme delle sue procedure di controllo, anche le più quotidiane. Questa linea di condivisione passa attraverso l’uso della tecnica, ma anche attraverso le pratiche elementari del bricolage. Hannah Arendt dice, per inciso, che battere su un chiodo con il tacco della propria scarpa non significa scambiare il tacco per un martello.
Smontare l’immagine mitica della scienza e della tecnica per restituirla alla sua realtà familiare non significa svalutarla, ma relativizzarla e renderla più complessa. L’aura che in passato ha avvolto il prete o lo stregone, che a volte ha circondato e circonda ancora il filosofo – che tra l’altro sta recuperando consenso nell’attuale contesto di smarrimento morale -oggi avvolge lo scienziato anche più modesto, dato che colui che gestisce le provette viene assimilato al detentore delle Leggi della natura. Lo scienziato, come fosse un cantante, è invitato dai media a pronunciarsi non sul suo campo di ricerca, ma sulla sorti del mondo o sull’avvenire dell’arte: elevato al rango di Pizia (sacerdotessa e profetessa di Apollo in Delfi, n.d.t.), gli si attribuisce il ruolo di oracolo.
II lavoro scientifico, che è generalmente un lavoro di équipe, ha varie forme di organizzazione, e più di ogni altro evidenzia il ruolo ognuno nella grande gestazione dell’innovazione, di cui poi solo alcuni, al termine del percorso, saranno gli attori decisivi o a volte i felici beneficiari.
Ma è anche un lavoro che può strutturarsi in modi diversi. L’unificazione delle sue procedure comporta il rischio di limitare o canalizzare l’innovazione: l’immaginazione non può essere sottoposta ad alcuna condizione, e non ha origine in un luogo unico. Oggi i più creativi sono spesso degli outsider, che hanno seguito percorsi non ufficiali e si sono affidati più al bricolage che ad una vera e propria pianificazione. Alcune scienziate francesi che ho interpellato sottolineavano il vantaggio della ricerca statale all’interno del Cnrs (Centro nazionale della ricerca scientifica) rispetto alla ricerca privata, ricordando che il loro status di funzionarie le mette al riparo dai rischi della carriera e consente loro di gestire al meglio i rapporti familiari. Ma nello stesso tempo questa condizione le trasforma in factotum – certamente serene – di una struttura gerarchizzata. Ma ritorneremo su questo punto.
Le nuove tecniche di comunicazione, che hanno fatto nascere una nuova forma di comunità internazionale, vengono spesso invocate come un salto di qualità che consente a tutti, e in particolare alle donne, di superare alcuni ostracismi e di eliminare intermediari che potrebberoostacolarle. Come qualsiasi innovazione tecnologica, esse danno vita a un’utopia dello stare insieme. Ebbene, anche se in effetti costituiscono uno strumento ormai indispensabile, queste tecniche non eliminano automaticamente le distanze attualmente esistenti. Non esiste una tecnica-miracolo di per sé liberatoria. Esistono solo sistemi di relazione con queste tecniche, che mantengono e approfondiscono queste distanze o che, viceversa, tentano di eliminarle. Un primo passo consiste nel rendere queste tecniche accessibili a tutte. Un altro passo consiste nell’evitare che si moltiplichino le disuguaglianze.
Trasmissione e organizzazione del sapere
Questa opera di demistificazione e di approccio realistico al lavoro scientifico sembra costituire un preliminare indispensabile all’eliminazione degli ostracismi che ancora colpiscono le ragazze, come d’altronde tutti coloro che osservano il lavoro scientifico dall’esterno.
La ricerca scientifica non appare più quindi come una posizione di predominio, ma come un’attività che mette in gioco, quasi come l’arte, facoltà di osservazione e di immaginazione ludica, con il loro inevitabile contorno di routine. Richiede inoltre la presenza di insegnanti capaci di comunicare a tutti e tutte le chiavi e le regole di questo gioco del sapere, che non si gioca mai in un unico modo.
Ci si puo chiedere se l’iniziazione alle scienze che ha luogo nella scuola, la forma della loro trasmissione, la presentazione che ne fanno coloro che dovrebbero trasmetterne alcuni elementi di identificazione, non solleciti, nei fatti, più il desiderio dei ragazzi che quello delle ragazze. Alcune analisi sembrano andare in questa direzione e, pur senza mettere veramente in discussione la scelta delle classi miste, ne relativizzano ormai il valore all’interno della formazione, elemento che sembrava invece aver posto rimedio all’antica segregazione. E ciò è così vero che alcune scienziate, anche già affermate, si riuniscono per lavorare insieme e confrontarsi, come se trovassero in questo contesto una spinta a procedere in processi di lavoro in parte rimossi nei loro rispettivi ambienti misti. Rinascono associazioni formali o informali. Eppure, poche tra queste si dichiarerebbero a favore dell’idea di “un’altra scienza”, di una scienza femminile contrapposta alla scienza maschile (idea sostenuta invece da alcune correnti femministe, principalmente americane), mentre molte riconoscono la realtà di altre prassi, di altre forme di ricerca e di comunicazione, di altre curiosità, di altri ritmi di sviluppo.
Ma l’accesso delle ragazze e delle donne alla vita scientifica può comportare che esse rimangano confinate in compiti esecutivi. Sembra che alcuni processi di emarginazione agiscano proprio all’interno delle équipes di ricerca e nella loro organizzazione gerarchica. La direzione di un laboratorio viene attribuita più spesso ad un uomo che a una donna, e le donne stesse riconoscono che vi possono accedere solo esprimendo una decisa volontà in questo senso. Gli uomini sembrano assumere più volentieri i compiti di responsabilità e di direzione, compresi i necessari compiti para-scientifici di natura amministrativa o economica. E’ vero che, malgrado l’evoluzione dei costumi e secondo alcuni studi fatti sull’argomento, gli uomini continuano a essere ampiamente favoriti nella suddivisione dei compiti, così come in quella delle responsabilità familiari. Non ci stupiremo quindi del fatto che sia la loro firma ad apparire in calce ad una relazione che segnala un progresso scientifico, risultato di un lavoro collettivo. Questo fenomeno non ha niente di specifico: in tutti i campi, colui che firma l’innovazione non ne è necessariamente il promotore, in ogni caso non l’unico autore.
Ancora oggi un uomo, all’alba della sua vita professionale, è generalmente più realista di una donna: egli “pianifica la sua carriera”, mentre le donne si impegnano in vari compiti successivi, in funzione degli interessi del momento. Esse articolano meno il loro tempo in funzione di un unico scopo. Spendono le loro forze con un certo disordine. Emergono in genere quelle che hanno adottato le strategie maschili, quelle che sanno quali inviti bisogna accettare, quali campi di ricerca sono i piu garantiti e i più redditizi. Perché la vita intellettuale, scientifica o di altro genere, si gestisce oggi come una mini-impresa. La parte che riguarda la sua gestione richiede un consistente investimento per sostenere la parte creativa e renderla oggetto di riconoscimento.
Esiste infine un punto importante, forse il più importante, che merita una riflessione, e che possiamo riscontrare in ambiti diversi da quello della scienza in senso stretto. Si tratta del fatto che a una donna non viene riconosciuto, a priori, un potere d’innovazione. La si può considerare un’eccellente collaboratrice, un ingranaggio indispensabile, una responsabile rigorosa. Ma appena si allontana dalla norma, questo passo viene guardato con sospetto ed è poco sostenuto. La sua trasgressione viene considerata come una mancanza anziché come una cosa in più, il suo passo in avanti – o di lato – come una distorsione alla logica. Qualsiasispostamento che essa effettua viene considerato una stravaganza. Questo imperativo normativo e di normalizzazione, che si configura come un controllo implicito, costituisce spesso un elemento di intralcio all’espressione dell’audacia e dell’immaginazione delle donne. Esse possono essere accettate nella misura in cui fanno regnare e prosperare l’ordine stabilito, ma non se intendono modificarlo. L’assunzione di rischi e lo spreco sono loro vietati.
Ebbene, la capacità inventiva nel mondo della scienza, dell’arte e della politica richiede una buona dose di stravaganza, nel senso letterale del termine. Il credito – sia finanziario che morale – concesso alle donne viene misurato al millimetro e il loro primo fallimento, o quello che può apparire tale, diventa subito oggetto di sanzione. In una condizione del genere è normale che nelle donne ogni comportamento ragionevole prevalga sulla loro capacità innovativa. Ed è altrettanto normale che occupino molto spesso posti di secondo piano anziché incarichi di prima linea, dove il prezzo che debbono pagare diventa eccessivo. Questa discriminazione in merito al credito concesso alle donne può essere misurata anche in semplici termini economici. Si “punta” raramente su una donna, sia essa una scienziata, un’artista, una sportiva o un’imprenditrice: essa è pregiudizialmente considerata un piazzamento meno sicuro.
Questa carenza nel riconoscimento pubblico e nella ratifica da parte della comunità scientifica a cui si appartiene comporta pesanti conseguenze. Perché, come serive Bruno Latour, “abbiamo bisogno degli altri per trasformare un enunciato in un fatto” . E Isabelle Stengers: “Un concetto non è dotato di potere in virtù del suo carattere razionale, ma viene riconosciuto in quanto articolazione di una prassi razionale, perché coloro che lo propongono sono riusciti a vincere lo scetticismo di un numero sufficiente di altri scienziati, a loro volta socialmente riconosciuti competenti”. Una scoperta viene considerata tale solo se è ratificata dalla comunità scientifica oppure da alcune delle autorità che la compongono. Infatti, sviluppo della scienza dipende da motivi che non sono esclusivamente scientifici, ma profondamente radicati nel sociale.
Lo stesso meccanismo si ritrova nella problematica della determinazione degli obiettivi scientifici o dei limiti alle loro applicazioni. In tutto ciò che dà nutrimento e spessore al progresso scientifico in senso stretto, le donne – di cui viene spesso sottolineata la grande preoccupazione sul versante ecologico – sono poco presenti e ancora meno determinanti. Anziché controllarne il movimento, esse sono controllate da esso. Le stesse problematiche che interessano più da vicino il loro destino ancestrale, quelle relative alle manipolazioni genetiche, sfuggono al loro controllo, che si tratti della riproduzione assistita sotto tutte le sue forme, o della clonazione.
Mondo di uomini, mondo di donne: uno o due mondi?
Queste riflessioni richiamano ovviamente alla mente domande pressanti, insidiose e tali da scoraggiare le nostre energie trasformatrici. Le donne desiderano veramente allinearsi sul modello organizzativo maschile fondato sul concetto di efficacia e di successo, precisando che i due termini non sono necessariamente identici? Non cercano forse di tenersene ai margini per beneficiarne senza dovervisi perdere? Non sono forse numerose le donne che esitano a pagarne il prezzo, dato che questo prezzo può essere considerato una vera e propria mutilazione? Come le amazzoni si tagliavano un seno per tirare meglio all’arco, le donne di oggi debbono forse amputarsi da sole per entrare a far parte del mondo che è stato strutturato da e per coloro che non hanno il seno?
Questo mondo che trovano già tutto organizzato, e alle cui condizioni debbono sottoporsi se vogliono emergere, non e forse il mondo dell’altro sesso, cosicché sarà possibile entrarvi solo alle sue condizioni? Le donne desiderano forse sottostare a queste condizioni?
La problematica del rapporto delle donne con la vita scientifica e tecnologica, nelle situazioni in cui esse non svolgono una semplice funzione di ingranaggio, sembra innescare un circolo vizioso: è necessario trasformare questo mondo affinché le donne possano entrarvi a pieno titolo, come a casa loro, oppure è necessario che vi entrino sempre un po’ da estranee, nella speranza di riuscire in seguito a trasformarlo? In effetti, non esiste un mondo neutro che sarebbe sufficiente condividere, esiste invece un mondo ben definito, frutto di una lunga storia degli uomini, che deve essere trasformato per poterlo condividere ed essere condiviso per poterlo trasformare. Si può quindi capire che molte donne ancora oggi esitino, preferendo mezze misure e mezze vittorie, che non le allontanino troppo da loro stesse ma che, al tempo stesso, impediscono loro di assumere ruoli dirigenziali.
Si pone quindi il problema dell’accesso delle donne al mondo, una problematica con cui ci troviamo sempre a dover fare i conti: questo accesso consiste in una semplice addizione numerica, oppure sarà in grado di modificare le forme stesse dell’organizzazione del lavoro scientifico così come del lavoro professionale o politico? La femminilizzazione è quantitativa o qualitativa? Questa domanda si pone, lo sappiamo, nel mondo della politica, soprattutto nei paesi – come la Francia – dove si è fatta strada l’idea inizialmente europea della parità nei sistemi rappresentativi. Il 50 per cento delle donne in Parlamento significa la riparazione di un’ingiustizia, oppure potrà contribuire a dare vita se non proprio ad un’altra politica almeno ad un altro modo di fare politica?
A questa domanda non è possibile rispondere con certezza. Dobbiamo intanto chiederci se la risposta è segnata nel destino oppure se sarà il risultato della volontà di coloro, uomini e donne, che si troveranno in tal modo “riposizionati”? La resistenza della tradizione e degli imperativi economici e politici è enorme. Ma il ruolo dell’intellettuale (donna) e il ruolo del politico (uomo o donna) si fonda sull’ipotesi critica secondo cui il mondo è passibile di trasformazione.
In questo campo come in altri, è difficile adottare la tesi di una vera e propria dualità tra i sessi, ma almeno si può prendere atto di inflessioni differenziate, che non sono di poco conto. Queste inflessioni non sono legate tanto all’affermazione di una ipotetiea “natura” femminile, ma piuttosto al fatto che, storicamente, le donne hanno occupato nel mondo una posizione diversa da quella degli uomini, e che oggi affrontano la vita da un’altra angolazione, con un’altra memoria, un’altra esperienza e in un altro momento. Ciò che è importante, in ogni caso, è diventare consapevoli di queste inflessioni, nella misura in cui possono essere una fonte di ispirazione nell’affrontare i problemi che ci sembrano importanti, proprio nel momento in cui l’Europa intende vincere la scommessa di essere produttrice di progressi tecnologici e scientifici, come gli altri continenti moderni, senza però sacrificare i propri valori umanistici. Difficile scommessa, dove tuttavia la presenza delle donne diventa una necessità e una opportunità.
Condivisione del sapere. Mondo condiviso
L’umanità è fatta di uomini e di donne. Il mondo è di entrambi ed è quindi normale che uomini e donne lo condividano e che ne condividano il pensiero, le forme organizzative e la determinazione del suo destino. Il sapere, e il sapere scientifico in particolare, costituisce una delle modalità di rapporto con il mondo al quale tutti debbono poter avere accesso, indipendentemente dal loro sesso: infatti, il potere condiviso passa attraverso il sapere condiviso, ma anche il sapere è una modalità umana di essere nel mondo, una forma di felicità del mondo potremmo dire, che non si capisce perché dovrebbe essere riservata solo ad alcuni. La scienza è un potere e la scienza è un piacere della mente. Per queste sue due caratteristiche è necessaria la sua condivisione, che non produce un’altra scienza ma una scienza espressa diversamente.
Più nessuno oserebbe affermare oggi, come è avvenuto per molto tempo tra gli scienziati e i filosofi, che le donne sono inferiori agli uomini e che la loro mente è inadatta ad alcuni utilizzi. La razza e il sesso hanno cessato di essere argomenti scientifici accettabili per la classificazione degli esseri umani. D’altronde molti altri limiti, considerati insuperabili, sono invece stati superati. La capacità si dimostra in e con la pratica. La capacità di camminare si dimostra camminando. E noi camminiamo.
Il modo in cui si può far passare nei fatti la realtà della condivisione sessuata dell’umanità è una questione politica, che richiede un’identificazione sottile dei meccanismi che ne sono all’origine, e tiene in considerazione il fatto che i rapporti tra donne e scienze si collocano nello scenario più generale dei rapporti tra i sessi. Purtroppo non è possibile identificare e isolare un’unica causa della lunga storia del predominio o della gerarchia dei sessi: si tratta piuttosto di una rete a ramificazioni multiple. E’ per questo che il lavoro di trasformazione è un processo di lungo respiro e richiede provvedimenti di vario tipo, con costanti aggiustamenti che tengano conto delle reazioni che provocano.
Sappiamo in ogni caso che l’uguaglianza proclamata da una costituzione o da un codice può nascondere l’esistenza di pratiche profondamente disuguali. Così come la generosa affermazione dei “diritti dell’Uomo” può nascondere le peggiori sevizie nei confronti di alcuni uomini. La democrazia è un’acquisizione ma è anche un lavoro, e un lavoro incessante. Allo stesso modo, per tradursi in fatti, l’uguaglianza tra uomini e donne richiede iniziative specifiche e sempre rinnovate.
Quando assumono la forma di azioni positive promosse ormai da molto tempo dall’Unione europea, queste iniziative sono considerate da alcuni come delle offese sia nei confronti del principio dell’uguaglianza che di quello della dignità delle donne.
In Francia in particolare, l’affermazione dell’universalità dell’Uomo in quanto tale è sembrata a lungo incompatibile con dei provvedimenti assunti a favore di quelle che vengono chiamate le “minoranze”, anche se sono numericamente maggioritarie. Sostenere una minoranza, in effetti, significherebbe attaccare l’universalità del concetto di Uomo, introdurre il separatismo in un mondo misto dove ciascuno deve avere le proprie opportunità, come individuo e non come rappresentante di un sesso o di un gruppo.
Questa argomentazione articolata a favore della neutralità dell’individuo è stata sconfitta. Dobbiamo oggi sottoporre a revisione il nostro pensiero sulla democrazia. L’individuo non è neutro, così come non lo è il cittadino. Egli è costruito su un modello che privilegia alcuni a scapito di altri. Un uomo, una donna, un nero, un bianco, non sono individui allo stesso titolo quando si presentano, per esempio, a un colloquio per ottenere un posto di lavoro.
La vera neutralità non è quella che esiste nei principi: è quella che si ottiene quando le discriminazioni vengono effettivamente superate.
Alcuni, uomini e donne, pensano tuttavia che i provvedimenti di azione positiva (che in francese, con una qualche forma di perversione, viene chiamata “discriminazione positiva”) siano riduttivi per le donne in quanto prevedono che esse siano privilegiate in quanto donne e non in quanto esseri umani competenti. Ma da sempre gli uomini sono stati privilegiati in quanto uomini e non in quanto esseri umani, senza che ciò sia sembrato riduttivo. E ognuno di loro ha sempre pensato di essere considerato, e aprioristicamente, preferito alle donne per le sue quafiche e per la sua competenza e non grazie al privilegio dei suo sesso.
La condivisione del mondo comune da parte dei due sessi è l’unica capace di dare vita un giorno alla mescolanza al posto della falsa mescolanza che lo caratterizza ancora oggi. E ciò passa attraverso la condivisione della vita scientifica e tecnologica, per quanto riguarda sia il suo progetto che il suo funzionamento. Rimane il problema del come, e con quali provvedimenti. Questione difficile, di pertinenza dei politici, e che è ormai stabilmente inserita nel loro ordine del giorno.
Il massiccio ingresso delle donne nello spazio scientifico – così come in tutti gli altri campi -significa prima di tutto, e semplicemente, l’eliminazione di un divieto che per molto tempo è stato esplicito ma che oggi esiste ancora, implicito: significa un po’ più di giustizia per le donne e un po’ più di scienza per il mondo. Come e avvenuto per il loro ingresso in politica, significa forse anche, e a lungo termine, una modulazione nelle modalità di funzionamento e negli obiettivi del mondo, e quindi un po’ piu di umanità, un di più d’”essere”.
(Traduzione di Silvana Mazzoni)