Dopo mezzo secolo di esperimenti, è stato finalmente rilevato un primo segnale della possibile esistenza della particella più ricercata della storia della fisica: il bosone di Higgs. Lo ha annunciato ieri il Cern di Ginevra (vedi Galileo, “Bosone di Higgs: forse, chissà, magari sì“), dopo che due team indipendenti – Atlas e Cms – grazie all’acceleratore di particelle più potente del mondo, il Large Hadron Collider (Lhc), hanno ottenuto quasi gli stessi, incoraggianti sebbene preliminari, risultati. Ma cos’è esattamente questa particella e perché è tanto importante sapere se esista o meno?
Per rispondere a queste domande bisogna tornare proprio a 50 anni fa, quando è stato elaborato il Modello Standard. Si tratta di una teoria che cerca di spiegare il modo in cui tutte le particelle elementari note interagiscano nell’ Universo visibile. Non è l’unica ma, finora, sembra la più verosimile. C’è però un neo: non riesce a spiegare da dove sia spuntata la massa di tutte queste particelle. Tutte le equazioni della teoria, cioè, sembrano richiedere che esse siano senza massa.
Il problema non è da poco, ma si risolve inventandosi un’ altra particella subatomica che conferisca a ogni cosa questa caratteristica fisica fondamentale. A proporre la sua esistenza attraverso un meccanismo da aggiungere al Modello Standard sono stati alcuni fisici tra cui Peter Higgs (da cui il nome), nel 1964. La teoria prevede che dei particolari bosoni, sparsi ovunque nell’Universo, vengano attratti dalle particelle che entrano nel loro campo di energia: più alto è il numero di bosoni richiamati da una certa particella, più la massa di questa sarà grande. Bene, se si rattoppa il Modello Standard con la pezza di Higgs, i conti (e le masse) tornano.
La storia è semplificata, ma chiarisce come mai sia fondamentale sapere se l’ Higgs esista oppure no. Nel primo caso avremmo una conferma di come si crede che funzionino alcune cose nell’Universo (almeno in quel 4% visibile, del resto sappiamo ancora poco), nel secondo caso sapremmo che finora abbiamo (almeno in parte) sbagliato e, soprattutto, che c’è una fisica completamente nuova da scoprire.
Tornando a Higgs, risolto il problema sulla carta, non restava che trovare la particella mancante. Qui ne è cominciato un altro, di problema: l’impresa sembrava quasi impossibile. Non potendo sperare di trovarla per caso in giro per l’Universo (se esiste, infatti, decade molto velocemente, trasformandosi in altre particelle), in questi anni i fisici hanno tentato di crearla per poi rilevarla.
Come? Lanciando dei fasci di protoni ad altissima energia all’interno degli acceleratori di particelle e facendoli scontrare. Da questi scontri si generano molte particelle elementari: leptoni, quark, altri tipi di bosoni e così via; ognuna ha delle caratteristiche energetiche note e individuabili.
Quando qualcosa esce fuori dagli schemi – per esempio si registra un maggior numero di collisioni in corrispondenza di una certo intervallo di energia – agli scienziati si drizzano le antenne. Vuol dire che lì potrebbe essersi creata una particella diversa non nota e, magari, potrebbe essere proprio il bosone di Higgs. Certo, potrebbe anche voler dire che non vi sia nulla e che l’eccesso di eventi osservato sia un errore o semplicemente un caso. O anche, per ipotesi, che sia una particella completamente diversa da quella immaginata.
Ora che gli scienziati hanno a disposizione la potenza di Lhc, però, le probabilità di osservare l’Higgs – sempre se esiste – sono notevolmente aumentate: la macchina produce così tanti dati che le possibilità che si tratti di un caso si abbassano sempre di più. È per questo che l’annuncio di ieri ha destato molta attenzione. Con i dati del prossimo anno, quelle possibilità si potrebbero quasi azzerare. La risposta definitiva alla domanda “ esiste o non esiste l’Higgs?” è quindi attesa tra poco: magari non a marzo (quando si terrà la prossima conferenza), ma i ricercatori scommettono sul 2012.
Un ultima nota sul soprannome di particella di Dio: si tratta del titolo di un libro scritto dal premio Nobel Leon Lederman nel 1994, che in realtà la chiamava the Goddamn Particle (la particella maledetta), ma che dovette cedere alla proposta del suo editore per una mera questione di vendite. Se in questa storia c’entra un dio, è il dio denaro.
via wired.it
Credit immagine: Cern/Atlas